Antologia 1 anno - 3^ lezione
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ANTOLOGIAPAGINE DELLA LETTERATURA ITALIANACorso triennale multimediale a cura di Roberto Sacchetti PRIMO ANNO DANTE ALIGHIERI: CONVIVIO, MONARCHIA, VITA NOVA |
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DANTE ALIGHIERI: CONVIVIO, MONARCHIA, VITA NOVA
Benvenuti ancora. Siamo al terzo appuntamento, che è dedicato a Dante Alighieri. Con me Barbara Petti, alunna, attrice e studentessa universitaria, che l’anno scorso ha conseguito il diploma di maturità scientifica, con un ottimo voto. Dante Alighieri: questo è il grande momento che ci coinvolgerà. Abbiamo detto che siamo nel Duecento, siamo nella società comunale, una società d’impresa, di attività, di valorizzazione delle qualità dell’individuo. E’ tutto un altro ambiente rispetto a quello feudale. In questa società conta la politica, conta cioè l’affermazione dei principi di vita associata. E uno dei primi grandi protagonisti della politica del comune è appunto Dante Alighieri, la cui vicenda sappiamo tutti che è stata sfortunata e caratterizzata dall’esilio.
Io scelgo per voi subito un famoso passo preso dal “Convivio”, un’opera a cui Dante dà questo titolo perché pensa di invitare a un convivio, cioè a un banchetto, la gente per somministrare la vivanda che viene servita su queste tavole: è il sapere, la scienza, che Dante vuole divulgare in mezzo alla gente comune, quella che non sa di latino. Infatti questa è un’opera scritta in volgare italiano. Normalmente i trattati venivano scritti in latino, i trattati di scienze, i trattati di importante argomento. In questo Convivio Dante vuole dimostrare la sua scienza. Oltre che divulgarla, vuol dimostrare di avere questa conoscenza. Perché è tanto preso dalla necessità di dimostrare la sua conoscenza? Proprio perché Dante è già in esilio quando scrive quest’opera; e ci dice a un certo punto, del suo esilio…
“Poi che fu piacere de li cittadini de la bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno – nel quale nato e nutrito fui in fino al colmo de la vita mia, e nel quale, con buona pace di quella, desidero con tutto lo cuore di riposare l’animo stancato e terminare lo tempo che m’è dato–, per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contra mia voglia la piaga de la fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata.”
Dice Dante che quando uno è esule, è inseguito da un’accusa, da un’infamia, la gente quasi si convince che sia giustificata questa pena riservata a questa persona. Qualunque calunnia ci insegua, purtroppo dobbiamo fare i conti con il destino amaro che chi è calunniato potrà protestare quanto vuole la sua innocenza ma sempre si penserà di lui che, se l’accusa è stata mossa contro di lui, qualcosa deve avere fatto…
“Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade;”
Vedete che immagine usa Dante: la povertà come un vento secco che spinge la vela della sua nave, la vela della sua vita…”portato a diversi porti e foci e liti”, perché Dante ha dovuto girovagare, ha dovuto cercare dovunque ospitalità; lo dirà tra poco…
“e sono apparito a li occhi a molti che forseché per alcuna fama in altra forma m’aveano imaginato, nel conspetto de’ quali non solamente mia persona invilio, ma di minor pregio si fece ogni opera, sì già fatta, come quella che fosse a fare.”
Dante cioè lamenta che, quando si presentava in questi palazzi dei signori presso i quali desiderava essere ospitato, lo disprezzavano, svalutavano anche la sua opera perché era un esule. Vedete lo strazio con cui Dante parla di questa sua condizione penosa nella lontananza dalla sua città di Firenze. Dante parla di povertà. Gli erano stati confiscati i beni, la gente lo disprezzava e si pensava che fosse vera almeno una parte di quello di cui lo si accusava. Anzi c’è una lettera “All’amico fiorentino”, del 1315. Dante è in esilio già da 13 anni…
“Dalla vostra lettera, che ho accolta con la dovuta riverenza e la dovuta affezione, mi sono reso ben conto, con gratitudine profonda, della cura e dell'impegno col quale cercate di procurare il mio ritorno in patria; e per questo mi avete reso tanto più obbligato verso di voi, quanto più raramente accade agli esuli di trovare degli amici. Quanto alla mia risposta a ciò che mi scrivete, anche se non sarà quale forse desidererebbe la pusillanimità di certuni, vi prego affettuosamente che prima di giudicarla la ponderiate attentamente.
Ecco dunque quello che dalla lettera vostra e da quelle di mio nipote e di molti altri amici mi è stato reso noto riguardo al decreto or ora promulgato a Firenze sull'assoluzione dei banditi:”
I banditi sarebbero quelli che hanno avuto il bando, la cacciata da Firenze…Che cosa ha stabilito Firenze?...
“che se io volessi pagare una certa somma di danaro e volessi sottopormi all'onta della pubblica oblazione, (una pubblica ammissione di colpa) potrei essere assolto e ritornare immediatamente. E in questo, invero, o padre, vi sono due proposte degne di riso e mal consigliate; mal consigliate, dico, da coloro che le hanno avanzate, infatti la vostra lettera, formulata con maggior senno e maggior discrezione, non conteneva nulla di simile.”
Cioè, dice Dante, non è colpa vostra, amico, ma sono quelli che hanno proposto questa cosa che fanno una cosa assurda. Pensate che Dante era stato accusato di baratteria, cioè di essersi appropriato di danaro pubblico, che non era affatto vero, solo perché bisognava giustificare il fatto che fosse stato cacciato da Firenze. Ed era il papa, Bonifacio Ottavo, che rimestava in quel tempo, che lo aveva fatto allontanare, anzi aveva approfittato di un’ambasceria che Dante aveva fatto a Bonifacio per conto di Firenze per far entrare al potere in Firenze i Neri, guidati da Carlo di Valois, fratello del re di Francia, che dal papa era stato chiamato a Firenze: i Bianchi erano stati cacciati mentre Dante era assente, quindi Dante dall’ambasceria al papa non fa più ritorno a Firenze. Quindi il giusto Dante viene tradito in tutti i sensi. Ecco perché dico sempre a voi studenti che Dante è veramente un grande esempio per i nostri giovani. Dante era quello che, per onestà morale e politica, aveva cacciato da Firenze proprio il grande amico Cavalcanti, che in quella “Ballatetta”, in quella ballata per la sua Firenze, raccontava di essere lontano dalla sua città e di soffrire. Tenete presente che il suo grandissimo amico Guido Cavalcanti, che Dante caccia da Firenze perché è uno dei più violenti Bianchi, del suo partito quindi, insieme con altri violenti Neri, morirà a Sarzana, in maremma. Quindi Dante avrà anche il rimorso di avere cacciato il suo amico e di averne causato la morte, però non potrà rimproverare a se stesso di avere fatto un favore a chicchessia, nemmeno al suo grande amico: se meritava di essere cacciato lo ha fatto Dante. Ebbene un uomo di questa dirittura viene accusato di avere imbrogliato la sua Firenze…E dice ancora…
“È questa, dunque, la graziosa revoca con la quale viene richiamato in patria Dante Alighieri, dopo aver sofferto un esilio di quasi tre lustri? Questo ha meritato la sua innocenza, manifesta a chiunque? Questo i sudori e le fatiche continue da lui spese nello studio? Sia lontana da un uomo che si professa intimo amico della filosofia una così dissennata viltà di cuore ch'egli soffra di essere presentato all'oblazione (la denuncia di se stesso) come un reo in catene al modo d'un Ciolo qualunque (un qualsiasi malfattore: era uno che era stato condannato anni prima) e d'altri uomini infamati dalla loro colpa! Lungi da un uomo che si professa banditore di giustizia che, avendo subito ingiustizia, a quelli che gliel'hanno inferta, come a gente che abbia ben meritato paghi il suo danaro!”
Dice Dante: devo pure pagare del danaro per rientrare a Firenze? Ma stiamo scherzando?
“Non è questa per me, padre mio, la via di ritornare in patria; ma se un'altra prima da voi, poi da altri sarà trovata, che non deroghi alla fama e all'onore di Dante, per quella mi metterò a passi non lenti; ma se non c'è una via tale per entrare in Firenze, io a Firenze non entrerò mai più. “
E infatti Dante non rientrerà mai più a Firenze, starà fuori fino al 1321, l’anno della sua morte, a Ravenna…
“E che? Non potrò forse da ogni luogo guardare le spere luminose del sole e delle stelle? Non potrò forse, dovunque, sotto il cielo, contemplare dolcissime verità, senza rendermi, prima, privo di gloria, anzi, abietto al popolo e alla città di Firenze? “
Potrò contemplare le stelle anche in altri luoghi, senza essermi prima macchiato di vergogna davanti alla città di Firenze…
“Certo il pane non mi mancherà.”
E’ una dichiarazione nobile, ma è anche una dichiarazione sofferta. Questa è la vita di Dante in esilio, una vita di assoluta mortificazione. Il tema dell’esilio poi, vedremo, attraverserà la Commedia e lo tratteremo nei canti nei quali il nostro grandissimo poeta ha voluto distinguere il giusto dall’ingiusto in questa terra.
Dante uomo politico. Il testo in cui Dante meglio esprime il suo pensiero politico, anche questo scritto durante l’esilio, è la “Monarchia”. In questo testo Dante parla dei ruoli che hanno il papa e l’imperatore per guidare l’umanità verso la felicità. Quest’uomo che soffre per l’esilio si preoccupa della felicità del genere umano. Non si è mai preoccupato di se stesso Dante, ve lo abbiamo raccontato in quella lettera. A lui interessa che gli uomini siano felici in questa terra. E perché siano felici, dice Dante, c’è bisogno che…
“Dunque l’ineffabile Provvidenza1 indicò all’uomo due fini da perseguire: e cioè la felicità di questa vita, che consiste nella realizzazione della potenzialità propria dell’uomo2, ed è raffigurata nel paradiso terrestre;”
Ecco, Dante parla di paradiso terrestre come raffigurazione di quella che è la felicità che si dovrebbe conquistare sulla terra, in questo Dante è già preumanista, a Dante interessa la vita su questa terra oltre che la vita in cielo: è già qui che bisogna realizzare il paradiso, bisogna realizzare la giustizia…
“e la felicità della vita eterna, che consiste nel godimento della visione di Dio, cui la potenzialità propria dell’uomo non può arrivare se non è aiutata dalla luce divina, e che è raffigurata nel paradiso celeste. 8. A queste due forme di felicità, come a obiettivi diversi, è necessario giungere attraverso mezzi diversi. Infatti giungiamo alla prima3 per mezzo degli insegnamenti filosofici, purché li seguiamo operando secondo le virtù morali e intellettuali; e alla seconda4 giungiamo attraverso gli insegnamenti spirituali che trascendono l’umana ragione, purché li seguiamo operando secondo le virtù teologali, cioè fede, speranza e carità. 9. A questi fini e a questi mezzi – benché ci siano stati mostrati, i primi dall’umana ragione che tutta ci è stata spiegata dai filosofi, e i secondi dallo Spirito Santo che rivelò la verità soprannaturale e a noi necessaria attraverso i profeti e gli agiografi5, attraverso Gesù Cristo figlio di Dio a lui coeterno6 – la cupidigia umana volterebbe le spalle se gli uomini, simili a cavalli che vagano nella loro bestialità, non fossero trattenuti nel loro viaggio “con morso e briglie”
Cioè c’è bisogno di una briglia, di un freno che fermi la tendenza degli uomini a sfuggire ai principi che pure sono stati chiariti dai filosofi e dalle testimonianze divine…
“Per cui fu necessaria all’uomo una duplice guida, in relazione al duplice fine; e cioè il Sommo Pontefice, che conducesse il genere umano alla vita eterna secondo la Rivelazione, e l’Imperatore, che dirigesse il genere umano alla felicità temporale secondo gli insegnamenti della filosofia. E poiché a questo porto non può pervenire nessuno – o possono farlo in pochi, e questi pochi con estrema difficoltà – se il genere umano, calmati i flutti della seducente cupidigia, non riposa libero nella tranquillità della pace8, ecco qual è lo scopo al quale sopra ogni altro deve tendere colui che ha cura del mondo, che è chiamato Principe romano9: e cioè che in questa aiuola dei mortali10 si viva liberamente in pace.”
Questo è il principio politico fondamentale di Dante: la politica deve assicurare la pace. Cioè l’imperatore con la sua autorità deve fare in modo che il vivere sociale sia ordinato in pace e poi in giustizia. Sono quelle cose che sono mancate a Firenze e sono mancate a Dante. Firenze non ha avuto pace perché è stata sempre divisa in partiti (e lui ne ha fatto le spese)-i bianchi contro i Neri, prima erano stati i Guelfi contro i Ghibellini- e Firenze non ha giustizia. E il fatto che non ci sia giustizia è testimoniato dalla vicenda stessa di Dante, che ingiustamente è stato allontanato dalla città nella quale dirà nella Commedia che due (un numero simbolico per dire che erano pochissimi) erano i giusti; e vi si collocava lui stesso.
BARBARA- Professore, abbiamo parlato dell’aspetto politico, ma Beatrice? Dante disse: io spero di dire di lei quello che mai si disse di alcuna…
Certo, perché Beatrice per Dante è stata la luce, l’ispirazione. Però Dante indubbiamente ha avuto amori concreti…vedete, nella Vita nova la figura di Beatrice è fortemente idealizzata, Dante sembra dirci che l’amore unico ed esclusivo della sua vita sia stata Beatrice, ma la realtà è un po’ diversa. Però parliamo dopo della realtà, altrimenti roviniamo l’incanto di questa presentazione di Beatrice che, dice Dante, era gentile e onesta…
(il professore recita)
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova;
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.
Questa è Beatrice per Dante. E attenzione a questo verbo “mostra” , “mostrasi”. Quando scherzavamo su questa poesia, quando io ero studente, sottolineavamo “pare” per dire che le donne non erano ma apparivano soltanto oneste. Ma Dante vuole dire tutta un’altra cosa, naturalmente. “Tanto gentile e tanto onesta” appare, nel senso dell’apparizione come di un angelo, un essere soprannaturale; addirittura la gente perde la capacità di parlare, come avete sentito in questo sonetto. Perde la capacità di parlare e rimane impacciata, impedita, riesce a capire soltanto che questa straordinaria presenza dice all’animo di sospirare.
Questa è l’idealizzazione di Beatrice, ma nella realtà Dante ha avuto tante donne e poi, solo “a posteriori”, dopo avere avuto diversi amori, ha deciso di immaginare che l’unica donna della sua vita fosse Beatrice. Doveva idealizzare Beatrice, tanto che in un passo della Vita nova, che è questo libello che scrive al momento della morte di Beatrice, nell’episodio famoso delle donne dello schermo, dice che un giorno si trovava in chiesa e guardava verso Beatrice, che era rivolta a guardare verso di lui e una donna che si trovava a metà di questa linea ideale pensò che lo sguardo di Dante andasse su di lei; e anche la gente che era intorno pensò che i due sguardi che si incrociavano fossero quello di Dante e questa donna, per cui alcuni uscirono dalla chiesa mormorando che Dante si era innamorato di quella e quella di Dante. Ebbene Dante dice, in altre parole naturalmente, noi lo raccontiamo più banalmente, che ha approfittato di questa cosa: ha fatto di questa donna lo schermo, il riparo del suo vero amore, cioè ha approfittato del fatto che tutti avessero l’idea che quella fosse la sua donna e non Beatrice per nascondere (alla maniera provenzale, ricordate, cioè che bisognava nascondere l’amore altrimenti veniva rovinato dai maldicenti) il suo vero amore per Beatrice. E fin qui ci staremmo. Ma il punto della questione è che Dante poi ne ha avute altre di donne e quelle altre donne le ha chiamate tutte “donne dello schermo”. Cioè ha voluto giustificare i vari amori che ha avuto perché qualcuno avrebbe potuto rimproverargli la pretesa di avere avuto come unica fondamentale donna della sua vita Beatrice. La realtà era che Beatrice doveva diventare soltanto il simbolo dell’aspirazione di Dante alla perfezione. E infatti che Dante fosse un gran praticone, diciamo, coinvolto nelle storie sentimentali di quel tempo, ce lo dimostra un altro componimento che dovresti leggere tu, Barbara, “Guido i’ vorrei”:
(lettura di Barbara)
Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio.
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse 'l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.
Come vedi, monna Vanna, monna Lagia, quell’altra che è “sul numero delle trenta”, cioè sarebbe la trentesima donna della graduatoria delle sessanta donne più belle e più amate di Firenze…
BARBARA: E qui rientra la simbologia numerica di Dante o no?
Certamente, c’è sempre il tre, il sei, il multiplo e così via. Guido è Guido Cavalcanti, Lapo è Lapo Gianni, che sono due amici di Dante, tutti e due stilnovisti. Naturalmente è stato scritto quando Guido era ancora vivo, prima del 1200, questo sonetto e ci dimostra appunto che questi stilnovisti, giovani, si davano da fare con le donne di quel tempo.
Ma voglio chiudere questa terza puntata con una visione generale di quell’altro grande testo di Dante che è la Commedia, a tutti nota. Con questi ultimi minuti dedicati alla Commedia chiuderemo questa lezione, pronti ad affrontare poi la lettura diretta dei canti dell’Inferno che ho scelto per voi. La Commedia. Quand’è che Dante decide di scrivere la Commedia? Durante l’esilio. Comincia molto presto, ne stende una buona parte nel 1307 e nel 1314. Sappiamo che muore nel 1321. E’ tutta un’opera che si fa nel tempo e non è mai conclusa. Ancora, quando stava per morire, Dante continuava a limare, a perfezionare la Commedia. Immagina, come tutti sanno, ma lo ripetiamo, un viaggio nell’oltretomba, un viaggio nell’Inferno, nel Purgatorio, nel Paradiso: Immagina di farlo non solo lui, fisicamente, l’uomo Dante, ma di farlo fare insieme con lui a tutta l’umanità, che ha bisogno di conoscere il peccato, e la punizione che è riservata al peccato, per risollevarsi verso il bene passando anche quella purificazione che è indicata nel Purgatorio, raggiungendo il Paradiso. E’ la storia del perfezionamento dell’umanità, ma è anche la storia della vita, quella proprio viscere e sangue di Dante, perché nel portare avanti questo grande ragionamento Dante non può non parlare in ogni istante e in ogni momento della sua sofferenza. Tutto quel tema di pace e giustizia che è sotteso, che è sottinteso in tutta la Commedia è il tema che lo ha riguardato personalmente. Ricordiamolo sempre.
Diciamo soltanto in grandi linee che nell’Inferno Dante immagina di attraversare nove cerchi fino al centro della terra. L’Inferno è un grande imbuto, al centro della terra c’è Lucifero. Vedremo la struttura dell’Inferno prossimamente. Quando arriva al centro della terra immagina di superare il centro e di andare verso gli antipodi di Firenze e di sbucare dall’altra parte nell’oceano su un’isola che è l’isola del Purgatorio. Naturalmente, passato il centro si rovescerà per la forza di gravità e si ritroverà a salire verso la superficie dell’altro emisfero in quest’isola sulla quale sorge la montagna del Purgatorio, che è fatta di nove parti. C’è l’antipurgatorio, poi ci son le sette cornici del purgatorio, con i sette vizi capitali, superbia, invidia, ira, accidi, avarizia, gola, lussuria e sulla vetta c’è il paradiso terrestre. Dunque antipurgatorio, sette cornici e paradiso terrestre: anche il Purgatorio è diviso in nove. Poi dal Purgatorio volerà verso il cielo per entrare nel Paradiso, dove sono nove cieli di cui parleremo. Al di fuori di questi cieli in movimento come tante calotte sferiche concentriche, vi sarà l’Empireo, il cielo della pace assoluta, la pace, la pace a cui aspira Dante, che è in presenza di Dio. Ma queste son cose di cui parleremo la prossima volta. E vedremo che parlare di Dante significherà parlare anche della nostra società. Ciao.
Dante Alighieri: Convivio, Monarchia, Vita Nova
Presentazione del Prof.Roberto Sacchetti
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