Antologia 1 anno - 4^ lezione
Antologia - 4^ Lezione
♦ Descrizione dell’opera
♦ Indice
Antologia - 4^ Lezione
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QUARTA LEZIONE
COMMEDIA, INFERNO: CANTO PRIMO
(legge Barbara)
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte.
Brava Barbara. E siamo ad un momento importante. La più grande opera della letteratura italiana: la Divina Commedia, come fu definita. In ogni caso Commedia era per Dante, perché era la commedia dell’umanità, la nostra vita di tutti i giorni. Dante dice d’essersi trovato a metà della sua vita. Era nato nel 1265, quindi nel 1300, per lui, era la metà, se si calcolava una media di settanta anni di vita. Mi sono sempre domandato se si potesse indicare così matematicamente la cosa. Io non credo che sia così. Semplicemente Dante vuole dire più o meno a metà del corso della sua vita, anche perché in quel tempo non si viveva settant’anni, si viveva cinquant’anni, sessant’anni mediamente.
Però nel 1300 sappiamo che Dante immagina di fare questo straordinario viaggio. E perché nel 1300? La realtà è che la Chiesa ogni cento anni celebra un secolo dalla nascita di Cristo e Dante quindi immagina, nel giubileo del 1300, che era il primo che veniva celebrato in maniera veramente importante, figurati, proprio sotto Bonifacio Ottavo, che era il peggiore dei papi del tempo secondo Dante, di fare questo viaggio.
E dice di essersi trovato in una selva oscura, un bosco impenetrabile, dal quale non riesce più a venir fuori, non vedendo proprio il sentiero da seguire per liberarsi da questo incubo. E per lui è appunto paura soltanto ripensare a questo momento. Questo già ci introduce in una riflessione sui due sensi della scrittura della Commedia: il senso figurale e il senso allegorico. Cioè Dante spesso usa delle metafore, delle immagini, per significare altra situazione. Per esempio qui sta parlando dell’ingresso in un bosco, ma in realtà l’ingresso in un bosco rappresenta l’ingresso nel peccato e non riuscire a venir fuori dal bosco nell’allegoria significa non riuscire a venir fuori dal peccato. La paura che lui prova quindi è la paura di non riuscire più ad evitare la dannazione che lo porterà poi all’inferno. E’ duro riparlare di questo passato peccaminoso, dice Dante, ma comunque ne parlerò, perché questo percorso mi ha portato verso il bene; e quindi per parlare del bene che vi ho trovato parlerò anche del male che ho dovuto attraversare in questo percorso…
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
E’ il ritratto proprio dello stordimento del peccatore, che quando entra nel peccato non si rende nemmeno conto del perché…
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
Si calma la paura che aveva attraversato tutta la notte di Dante, perché questo poco di luce gli fa intravedere la possibilità di salvarsi. Cosa vuole rappresentare qui Dante? Il fatto che c’è sempre bisogno di un minimo di guida divina per venir fuori dalla tentazione e dal peccato. La luce sul colle rappresenta quello che è l’intervento dello spirito santo sull’uomo che sbaglia per riportarlo sulla via giusta…
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Qui Dante pala dello stato d’animo di chi, appena scampato a un naufragio, si volta per guardare quel mare che è stato per lui il rischio della morte, come a voler guardare il grande pericolo che ha corso, però contento di avere ottenuto la vita. Fuori dal senso figurale, in allegoria, vuol dire che quando uno esce dal peccato si volta indietro per vedere il resto della sua vita e si rende conto di quanto abbia rischiato rimanendo in quella condizione di dannazione…
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.
Cioè mi riavviai in maniera tale che il piede fermo era sempre più basso del piede in movimento, il che accade quando noi stiamo salendo…
Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
Si è avviato ed incontra una lonza, con la pelle macchiata, un animale dalla pelle a chiazze…
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Molte sono le interpretazioni di questo passo. La lonza che animale è? La lince, altri animali…La cosa importante è il significato allegorico che ha questo primo animale che si presenta sulla strada di Dante. Rappresenta molto probabilmente la lussuria. E la presenza di questa lonza ad impedire il suo cammino vuol dire che la prima tentazione che l’uomo incontra cercando di evadere dal peccato è la lussuria, cioè il peccato della carne, che lo porta, lo risospinge verso l’errore…
Temp’era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l’ora del tempo e la dolce stagione;
Spieghiamolo subito. Dante incontra la lonza e viene preso dalla paura, però era mattina di un giorno di primavera. E questa condizione lo porta a bene sperare perché la mattina di un giorno di primavera è la mattina che secondo la Scrittura il Signore aveva scelto per far cominciare la vita del mondo all’atto della creazione. In quella circostanza non possono accadere cose negative, quindi Dante è convinto di poter superare facilmente l’ostacolo. Ecco l’aspetto psicologico, che conta moltissimo. Infatti si riprende…
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.
Cioè si è appena salvato dalla presenza della lonza e rianimato e vede contro di sé un leone…
Questi parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.
Vedete questo termine, “tremesse”, è un misto di tremasse e temesse. Cioè questo leone rabbioso e affamato perforava l’aria al punto di farla tremare e di farle avere paura della sua presenza. Il leone rappresenta la superbia. E’ la seconda tentazione…
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.
La terza fiera che si presenta a Dante è la lupa, che raffigura l’avarizia, l’avidità. Dice che sembrava carica di desideri nella sua magrezza e che fece già vivere misere molte genti. Questo vuol dire che molti sono quelli che incorrono nel peccato dell’avarizia…
BARBARA: Professore, l’avarizia era anche uno dei mali che serpeggiano per Firenze?
Per Dante l’avarizia è il peggiore dei mali dell’umanità e di Firenze in particolare, perciò la indica come la terza fiera che si pone davanti al suo cammino. Dirà tra poco, e lo vedremo, che l’avarizia è madre di altri vizi. Ascolta ancora…
E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace.
Questa fiera mi sospingeva verso il luogo dove tace la luce del sole, verso il bosco, il peccato, in una disperazione che è simile a quella di chi si sente vicino alla morte e sta per perdere tutto quello che ha acquistato nella sua vita…
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Ecco, si sta disperando Dante, sta perdendo la speranza di salvarsi quando gli appare “colui che per lungo silenzio parea fioco”, cioè colui che per il lungo silenzio che aveva attraversato aveva ormai per Dante un’immagine fioca, incerta, difficilmente distinguibile. E’ Virgilio, ma non è solo Virgilio di Dante poeta classico, è l’allegoria di Virgilio, cioè la ragione, che Dante per lungo tempo ha abbandonato dandosi al peccato. Adesso la ragione ritorna e lo salva dal peccato: l’uomo per sfuggire alle tentazioni deve ragionare…
Quando vidi costui nel gran diserto,
"Miserere di me", gridai a lui,
"qual che tu sii, od ombra od omo certo!".
E qui prevale il senso figurale, cioè anche se Virgilio rappresenta la ragione qui è un essere fisico e si presenta davanti a Dante. Tra l’altro non si sa se è proprio consistente o se è un’ombra. In relatà è un’ombra, perché Virgilio viene dal limbo, dal primo cerchio dell’inferno e non può essere altro che un’ombra, perché il corpo queste anime non ce l’hanno, lo recupereranno, lo raggiungeranno solo il giorno del giudizio universale…
Rispuosemi: "Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.
Virgilio era di Mantova, lo sappiamo, di un paesino, Andes, vicino Mantova, si presenta quindi con le sue origini lombarde…
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Tardi, perché Virgilio nacque troppo tardi per poter apprezzare le qualità di Cesare in quanto maturò quando Cesare fu ucciso: Virgilio è nato nel 70 a.C, Cesare è stato ucciso nel 44 a.C. Aveva 26 anni quando Cesare scompariva dalla vita politica di Roma…
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.
Cioè ha parlato di Enea…
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?".
Ecco, Virgilio, dopo aver raccontato in sintesi la sua vita e la sua grande opera, dice a Dante, richiamato alla realtà: “ma tu perché stai tornando giù, perché non sali verso il monte che causa la gioia, cioè non sali su verso il bene, che è rappresentato nella vetta di quel colle illuminato dalla luce di Dio?”…
"Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?",
rispuos’io lui con vergognosa fronte.
"O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ ha fatto cercar lo tuo volume.
Mi serva qui tutto lo studio che ho fatto della tua opera, dice Dante. Oppure può voler dire: mi sceglie in mezzo agli altri, cioè mi segnala, mi differenzia dagli altri proprio il lungo studio della tua opera. Cioè Dante vuole dire che quello che lui è lo deve all’insegnamento di Virgilio…
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ ha fatto onore.
Dopo aver espresso tutta la sua riconoscenza a questo maestro (come voi dovreste esprimere la riconoscenza ai vostri professori qualche volta), Dante torna ai suoi problemi…
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi".
Proprio fisicamente, figuralmente, Virgilio lo deve difendere dalla lupa. Ma allegoricamente questo vuol dire che Dante fa appello alla sua ragione perché lo aiuti a superare la tentazione dell’avidità. Perché l’avarizia, l’avidità, loabbiamo detto, è il peggiore dei mali, al quale più difficilmente si riesce a sfuggire. A questo proposito dobbiamo ricordare un fatto, che Dante odiava la “gente nova”, così la chiamava, cioè la gente di recente inurbata, che veniva nella città e pensava soltanto al guadagno, agli affari, mentre la Firenze di una volta, quella che amava di più Dante, era la Firenze dell’antica nobiltà, la gente che aveva una sua grande dignità d’animo e non pensava tanto al danaro quanto Dante era convinto che ci pensassero questi uomini appena arrivati che volevano diventare i nuovi arricchiti. Dante ha sempre odiato questi “parvenu”, pervenuti nella società, che vorrebbero tutto fare con il danaro, perciò ce l’ha con l’avarizia…
"A te convien tenere altro vïaggio",
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
"se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
E si completa la risposta alla tua domanda, Barbara. Adesso ci spiega benissimo come funziona l’avidità nel mondo. Prima di tutto l’avidità è insuperabile, se non la aggiri. Devi fare un altro percorso…
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
E’ insaziabile l’avidità dell’uomo. Più una persona arricchisce e più desidera altro danaro…un panfilo, un altro panfilo, un altro…so già a chi pensi tu,Barbara…non è quello a cui penso io…
Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Molti sono gli animali a cui si accoppia. Ma se la lupa è l’allegoria dell’avarizia e se gli animali sono allegorie dei peccati, cosa vuol dire, completando il sillogismo? Che all’avarizia si associano…
BARBARA: Tutti gli altri peccati.
Ed è una delle interpretazioni di questo verso. L’altra interpretazione: se gli animali sono gli uomini, vuole dire…
BARBARA: Che l’avarizia è il principale male dell’uomo.
E poi c’è quest’altra straordinaria e storica citazione del “veltro”. Dice che questo farà l’avidità dell’umanità finché verrà il veltro…
BARBARA: Cos’è questo veltro?
Il veltro, parlando di animali, è il cane da caccia, che ha il compito di cacciare quest’avarizia nel mondo, cioè questa lupa, questi animali che rappresentano i peccati che sono nel mondo. Ma dobbiamo vedere a quale personaggio pensa Dante, immaginando un veltro che debba cacciare il peccato dall’umanità. Ebbene il personaggio a cui pensa Dante è l’homo novus, direbbe un umanista, ma in questo caso è l’uomo angelicato. Si pensava che dovesse nascere un uomo-angelo, un uomo angelicato, che avrebbe rigenerato l’umanità. Erano i millenaristi che già da tempo dicevano questo, c’era stato prima Gioacchino da Fiore e altri prima predicavano la fine del mondo, poi predicavano la rigenerazione dell’umanità e si continuava a sperare nell’avvento di un uomo nuovo che salvasse l’umanità dall’errore. Concretamente a chi avrà pensato Dante? Lui dice dopo…
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Questi non si ciberà né di terra, cioè di proprietà terriere, né di peltro, inteso come metallo, danaro: non sarà sensibile alla proprietà in gnere. La sua origine sarà tra due feltri. Il feltro era un panno ruvido, umile, semplice. Vorrà dire che la sua origine sarà tra panni umili? Cioè che sarà un uomo semplice di origine? Oppure vorrà dire che sarà francescano? Oppure vorrà dire che sarà uno della famiglia dei Montefeltro, giocando con la parola “feltro”? Oppure Cangrande della Scala, uomo che Dante ha stimato moltissimo. Fu ospitato a Verona benissimo dalla famiglia degli scaligeri, in diversi suoi scritti parla di questo Cangrande, al quale quindi darebbe il compito di rigenerare l’Italia…
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla.
Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
Infatti qui Virgilio allude alla sua funzione di guida in questo viaggio. Guiderà Dante nell’inferno e nel purgatorio, poi, arrivato alla vetta del purgatorio, cederà il posto ad un’altra. Ma lasciamolo dire a Dante…
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;
Vedrai le anime antiche che soffrono perché è arrivata la seconda morte, cioè temono che sia arrivata la morte dell’anima insieme con la morte del corpo, i dannati dell’inferno…
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
Naturalmente sono le anime del purgatorio, che, pur soffrendo, sono contente, perché sanno che prima o poi usciranno da questa sofferenza per raggiungere il paradiso…
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;
Quando poi tu vorrai salire alle beate anime del paradiso ci sarà un’anima più degna di me per guidarti. Cioè Beatrice, la donna ideale di Dante, che rappresenta la teologia, mentre Virgilio rappresenta la ragione. L’uomo con la ragione umana può risollevarsi dal peccato, ma per contemplare le verità superiori, quelle che riguardano Dio nei cieli e nell’empireo, deve per forza fare ricorso alla ragione divina, che è rivelata, nelle sue caratteristiche e qualità, nei testi sacri, attraverso la scienza, per il medioevo, della teologia, la scienza del divino insomma…
ché quello imperador che là sù regna,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna.
Virgilio spiega che non ci sarà lui, perché lui viene dall’inferno e Dio non permette che un’anima dannata, anche del limbo (la prossima volta spiegheremo chi sono queste anime), possa superare i mondi della sofferenza e del peccato per andare nei mondi della beatitudine…
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio:
oh felice colui cu’ ivi elegge!".
Colui che lui sceglie per portarlo lassù…
E io a lui: "Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
acciò ch’io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov’or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti".
Quindi Dante chiede a Virgilio di guidarlo, per vedere tutto, anche la porta di San Pietro e quelli che lui definisce tanto tristi…
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
E se ne vanno. E finisce il primo canto dell’inferno, Barbara. Ti ho fatto parlare poco…
BARBARA: Ho ascoltato, ho ascoltato questo bellissimo canto…
Ma parlerai un po’ di più con il canto quinto dell’inferno, la prossima puntata, quando parleremo di…
BARBARA: Amor
Brava. Ciao.
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QUARTA LEZIONE
COMMEDIA, INFERNO: CANTO PRIMO
(legge Barbara)
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte.
Brava Barbara. E siamo ad un momento importante. La più grande opera della letteratura italiana: la Divina Commedia, come fu definita. In ogni caso Commedia era per Dante, perché era la commedia dell’umanità, la nostra vita di tutti i giorni. Dante dice d’essersi trovato a metà della sua vita. Era nato nel 1265, quindi nel 1300, per lui, era la metà, se si calcolava una media di settanta anni di vita. Mi sono sempre domandato se si potesse indicare così matematicamente la cosa. Io non credo che sia così. Semplicemente Dante vuole dire più o meno a metà del corso della sua vita, anche perché in quel tempo non si viveva settant’anni, si viveva cinquant’anni, sessant’anni mediamente.
Però nel 1300 sappiamo che Dante immagina di fare questo straordinario viaggio. E perché nel 1300? La realtà è che la Chiesa ogni cento anni celebra un secolo dalla nascita di Cristo e Dante quindi immagina, nel giubileo del 1300, che era il primo che veniva celebrato in maniera veramente importante, figurati, proprio sotto Bonifacio Ottavo, che era il peggiore dei papi del tempo secondo Dante, di fare questo viaggio.
E dice di essersi trovato in una selva oscura, un bosco impenetrabile, dal quale non riesce più a venir fuori, non vedendo proprio il sentiero da seguire per liberarsi da questo incubo. E per lui è appunto paura soltanto ripensare a questo momento. Questo già ci introduce in una riflessione sui due sensi della scrittura della Commedia: il senso figurale e il senso allegorico. Cioè Dante spesso usa delle metafore, delle immagini, per significare altra situazione. Per esempio qui sta parlando dell’ingresso in un bosco, ma in realtà l’ingresso in un bosco rappresenta l’ingresso nel peccato e non riuscire a venir fuori dal bosco nell’allegoria significa non riuscire a venir fuori dal peccato. La paura che lui prova quindi è la paura di non riuscire più ad evitare la dannazione che lo porterà poi all’inferno. E’ duro riparlare di questo passato peccaminoso, dice Dante, ma comunque ne parlerò, perché questo percorso mi ha portato verso il bene; e quindi per parlare del bene che vi ho trovato parlerò anche del male che ho dovuto attraversare in questo percorso…
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
E’ il ritratto proprio dello stordimento del peccatore, che quando entra nel peccato non si rende nemmeno conto del perché…
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
Si calma la paura che aveva attraversato tutta la notte di Dante, perché questo poco di luce gli fa intravedere la possibilità di salvarsi. Cosa vuole rappresentare qui Dante? Il fatto che c’è sempre bisogno di un minimo di guida divina per venir fuori dalla tentazione e dal peccato. La luce sul colle rappresenta quello che è l’intervento dello spirito santo sull’uomo che sbaglia per riportarlo sulla via giusta…
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Qui Dante pala dello stato d’animo di chi, appena scampato a un naufragio, si volta per guardare quel mare che è stato per lui il rischio della morte, come a voler guardare il grande pericolo che ha corso, però contento di avere ottenuto la vita. Fuori dal senso figurale, in allegoria, vuol dire che quando uno esce dal peccato si volta indietro per vedere il resto della sua vita e si rende conto di quanto abbia rischiato rimanendo in quella condizione di dannazione…
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.
Cioè mi riavviai in maniera tale che il piede fermo era sempre più basso del piede in movimento, il che accade quando noi stiamo salendo…
Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
Si è avviato ed incontra una lonza, con la pelle macchiata, un animale dalla pelle a chiazze…
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Molte sono le interpretazioni di questo passo. La lonza che animale è? La lince, altri animali…La cosa importante è il significato allegorico che ha questo primo animale che si presenta sulla strada di Dante. Rappresenta molto probabilmente la lussuria. E la presenza di questa lonza ad impedire il suo cammino vuol dire che la prima tentazione che l’uomo incontra cercando di evadere dal peccato è la lussuria, cioè il peccato della carne, che lo porta, lo risospinge verso l’errore…
Temp’era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l’ora del tempo e la dolce stagione;
Spieghiamolo subito. Dante incontra la lonza e viene preso dalla paura, però era mattina di un giorno di primavera. E questa condizione lo porta a bene sperare perché la mattina di un giorno di primavera è la mattina che secondo la Scrittura il Signore aveva scelto per far cominciare la vita del mondo all’atto della creazione. In quella circostanza non possono accadere cose negative, quindi Dante è convinto di poter superare facilmente l’ostacolo. Ecco l’aspetto psicologico, che conta moltissimo. Infatti si riprende…
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.
Cioè si è appena salvato dalla presenza della lonza e rianimato e vede contro di sé un leone…
Questi parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.
Vedete questo termine, “tremesse”, è un misto di tremasse e temesse. Cioè questo leone rabbioso e affamato perforava l’aria al punto di farla tremare e di farle avere paura della sua presenza. Il leone rappresenta la superbia. E’ la seconda tentazione…
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.
La terza fiera che si presenta a Dante è la lupa, che raffigura l’avarizia, l’avidità. Dice che sembrava carica di desideri nella sua magrezza e che fece già vivere misere molte genti. Questo vuol dire che molti sono quelli che incorrono nel peccato dell’avarizia…
BARBARA: Professore, l’avarizia era anche uno dei mali che serpeggiano per Firenze?
Per Dante l’avarizia è il peggiore dei mali dell’umanità e di Firenze in particolare, perciò la indica come la terza fiera che si pone davanti al suo cammino. Dirà tra poco, e lo vedremo, che l’avarizia è madre di altri vizi. Ascolta ancora…
E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace.
Questa fiera mi sospingeva verso il luogo dove tace la luce del sole, verso il bosco, il peccato, in una disperazione che è simile a quella di chi si sente vicino alla morte e sta per perdere tutto quello che ha acquistato nella sua vita…
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Ecco, si sta disperando Dante, sta perdendo la speranza di salvarsi quando gli appare “colui che per lungo silenzio parea fioco”, cioè colui che per il lungo silenzio che aveva attraversato aveva ormai per Dante un’immagine fioca, incerta, difficilmente distinguibile. E’ Virgilio, ma non è solo Virgilio di Dante poeta classico, è l’allegoria di Virgilio, cioè la ragione, che Dante per lungo tempo ha abbandonato dandosi al peccato. Adesso la ragione ritorna e lo salva dal peccato: l’uomo per sfuggire alle tentazioni deve ragionare…
Quando vidi costui nel gran diserto,
"Miserere di me", gridai a lui,
"qual che tu sii, od ombra od omo certo!".
E qui prevale il senso figurale, cioè anche se Virgilio rappresenta la ragione qui è un essere fisico e si presenta davanti a Dante. Tra l’altro non si sa se è proprio consistente o se è un’ombra. In relatà è un’ombra, perché Virgilio viene dal limbo, dal primo cerchio dell’inferno e non può essere altro che un’ombra, perché il corpo queste anime non ce l’hanno, lo recupereranno, lo raggiungeranno solo il giorno del giudizio universale…
Rispuosemi: "Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.
Virgilio era di Mantova, lo sappiamo, di un paesino, Andes, vicino Mantova, si presenta quindi con le sue origini lombarde…
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Tardi, perché Virgilio nacque troppo tardi per poter apprezzare le qualità di Cesare in quanto maturò quando Cesare fu ucciso: Virgilio è nato nel 70 a.C, Cesare è stato ucciso nel 44 a.C. Aveva 26 anni quando Cesare scompariva dalla vita politica di Roma…
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.
Cioè ha parlato di Enea…
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?".
Ecco, Virgilio, dopo aver raccontato in sintesi la sua vita e la sua grande opera, dice a Dante, richiamato alla realtà: “ma tu perché stai tornando giù, perché non sali verso il monte che causa la gioia, cioè non sali su verso il bene, che è rappresentato nella vetta di quel colle illuminato dalla luce di Dio?”…
"Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?",
rispuos’io lui con vergognosa fronte.
"O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ ha fatto cercar lo tuo volume.
Mi serva qui tutto lo studio che ho fatto della tua opera, dice Dante. Oppure può voler dire: mi sceglie in mezzo agli altri, cioè mi segnala, mi differenzia dagli altri proprio il lungo studio della tua opera. Cioè Dante vuole dire che quello che lui è lo deve all’insegnamento di Virgilio…
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ ha fatto onore.
Dopo aver espresso tutta la sua riconoscenza a questo maestro (come voi dovreste esprimere la riconoscenza ai vostri professori qualche volta), Dante torna ai suoi problemi…
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi".
Proprio fisicamente, figuralmente, Virgilio lo deve difendere dalla lupa. Ma allegoricamente questo vuol dire che Dante fa appello alla sua ragione perché lo aiuti a superare la tentazione dell’avidità. Perché l’avarizia, l’avidità, loabbiamo detto, è il peggiore dei mali, al quale più difficilmente si riesce a sfuggire. A questo proposito dobbiamo ricordare un fatto, che Dante odiava la “gente nova”, così la chiamava, cioè la gente di recente inurbata, che veniva nella città e pensava soltanto al guadagno, agli affari, mentre la Firenze di una volta, quella che amava di più Dante, era la Firenze dell’antica nobiltà, la gente che aveva una sua grande dignità d’animo e non pensava tanto al danaro quanto Dante era convinto che ci pensassero questi uomini appena arrivati che volevano diventare i nuovi arricchiti. Dante ha sempre odiato questi “parvenu”, pervenuti nella società, che vorrebbero tutto fare con il danaro, perciò ce l’ha con l’avarizia…
"A te convien tenere altro vïaggio",
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
"se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
E si completa la risposta alla tua domanda, Barbara. Adesso ci spiega benissimo come funziona l’avidità nel mondo. Prima di tutto l’avidità è insuperabile, se non la aggiri. Devi fare un altro percorso…
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
E’ insaziabile l’avidità dell’uomo. Più una persona arricchisce e più desidera altro danaro…un panfilo, un altro panfilo, un altro…so già a chi pensi tu,Barbara…non è quello a cui penso io…
Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Molti sono gli animali a cui si accoppia. Ma se la lupa è l’allegoria dell’avarizia e se gli animali sono allegorie dei peccati, cosa vuol dire, completando il sillogismo? Che all’avarizia si associano…
BARBARA: Tutti gli altri peccati.
Ed è una delle interpretazioni di questo verso. L’altra interpretazione: se gli animali sono gli uomini, vuole dire…
BARBARA: Che l’avarizia è il principale male dell’uomo.
E poi c’è quest’altra straordinaria e storica citazione del “veltro”. Dice che questo farà l’avidità dell’umanità finché verrà il veltro…
BARBARA: Cos’è questo veltro?
Il veltro, parlando di animali, è il cane da caccia, che ha il compito di cacciare quest’avarizia nel mondo, cioè questa lupa, questi animali che rappresentano i peccati che sono nel mondo. Ma dobbiamo vedere a quale personaggio pensa Dante, immaginando un veltro che debba cacciare il peccato dall’umanità. Ebbene il personaggio a cui pensa Dante è l’homo novus, direbbe un umanista, ma in questo caso è l’uomo angelicato. Si pensava che dovesse nascere un uomo-angelo, un uomo angelicato, che avrebbe rigenerato l’umanità. Erano i millenaristi che già da tempo dicevano questo, c’era stato prima Gioacchino da Fiore e altri prima predicavano la fine del mondo, poi predicavano la rigenerazione dell’umanità e si continuava a sperare nell’avvento di un uomo nuovo che salvasse l’umanità dall’errore. Concretamente a chi avrà pensato Dante? Lui dice dopo…
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Questi non si ciberà né di terra, cioè di proprietà terriere, né di peltro, inteso come metallo, danaro: non sarà sensibile alla proprietà in gnere. La sua origine sarà tra due feltri. Il feltro era un panno ruvido, umile, semplice. Vorrà dire che la sua origine sarà tra panni umili? Cioè che sarà un uomo semplice di origine? Oppure vorrà dire che sarà francescano? Oppure vorrà dire che sarà uno della famiglia dei Montefeltro, giocando con la parola “feltro”? Oppure Cangrande della Scala, uomo che Dante ha stimato moltissimo. Fu ospitato a Verona benissimo dalla famiglia degli scaligeri, in diversi suoi scritti parla di questo Cangrande, al quale quindi darebbe il compito di rigenerare l’Italia…
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla.
Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
Infatti qui Virgilio allude alla sua funzione di guida in questo viaggio. Guiderà Dante nell’inferno e nel purgatorio, poi, arrivato alla vetta del purgatorio, cederà il posto ad un’altra. Ma lasciamolo dire a Dante…
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;
Vedrai le anime antiche che soffrono perché è arrivata la seconda morte, cioè temono che sia arrivata la morte dell’anima insieme con la morte del corpo, i dannati dell’inferno…
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
Naturalmente sono le anime del purgatorio, che, pur soffrendo, sono contente, perché sanno che prima o poi usciranno da questa sofferenza per raggiungere il paradiso…
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;
Quando poi tu vorrai salire alle beate anime del paradiso ci sarà un’anima più degna di me per guidarti. Cioè Beatrice, la donna ideale di Dante, che rappresenta la teologia, mentre Virgilio rappresenta la ragione. L’uomo con la ragione umana può risollevarsi dal peccato, ma per contemplare le verità superiori, quelle che riguardano Dio nei cieli e nell’empireo, deve per forza fare ricorso alla ragione divina, che è rivelata, nelle sue caratteristiche e qualità, nei testi sacri, attraverso la scienza, per il medioevo, della teologia, la scienza del divino insomma…
ché quello imperador che là sù regna,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna.
Virgilio spiega che non ci sarà lui, perché lui viene dall’inferno e Dio non permette che un’anima dannata, anche del limbo (la prossima volta spiegheremo chi sono queste anime), possa superare i mondi della sofferenza e del peccato per andare nei mondi della beatitudine…
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio:
oh felice colui cu’ ivi elegge!".
Colui che lui sceglie per portarlo lassù…
E io a lui: "Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
acciò ch’io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov’or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti".
Quindi Dante chiede a Virgilio di guidarlo, per vedere tutto, anche la porta di San Pietro e quelli che lui definisce tanto tristi…
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
E se ne vanno. E finisce il primo canto dell’inferno, Barbara. Ti ho fatto parlare poco…
BARBARA: Ho ascoltato, ho ascoltato questo bellissimo canto…
Ma parlerai un po’ di più con il canto quinto dell’inferno, la prossima puntata, quando parleremo di…
BARBARA: Amor
Brava. Ciao.
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