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Letteratura molisana


La materia trattata esige una scelta e come tutte le scelte essa si rivela parziale, limitata ed imperfetta - , determinata da fattori che nulla hanno a che fare con la concezione dell’arte o con il valore degli artisti. Nel confidare nell’indulgenza del lettore e nel chiedere perdono a quanti immeritatamente esclusi: promettiamo future riparazioni.

Il problema esistenziale più difficile
- e purtroppo più proposto - dell’uomo
è la sofferenza….!
Cantate, suonate, ballate; ….
La vita è breve
quanto l’affacciarsi ad una finestra
                                                                                                                                                                   S.E.Labanca

                                                
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Premessa

La narrativa e la poesia molisana dell’ottocento, nonostante la stagione felice fatta registrare in seno alla glottologia e alla filologia da Francesco D’Ovidio e in quello delle tradizioni popolari per l’opera instancabile di Melillo, manca all’appuntamento con la grande letteratura nazionale e straniera del tempo, traducendosi - fatta qualche eccezione - in meri tentativi di imitazione. Oserei dire che l’unico grande romanzo dell’ottocento molisano- anche se risente della struttura settecentesca- è il " Platone in Italia " di Cuoco. Mancò una voce originale, un timbro e un piglio capace di far emergere nella letteratura l’identità molisana. Pertanto, a giusta ragione Luigi Russo parlò di assenza, di "lacuna", di vuoto della letteratura nel panorama della cultura molisana dell’ottocento: lacuna che , in parte e con accenti nuovi, pensarono a colmare prima Lina Pietravalle e poi il "postero" Francesco Iovine. A Lina Pietravalle, novelliera molisana per antonomasia,- tale epiteto le fu attribuito in occasione del premio Viareggio, 1932 - si deve infatti a lei se il Molise si inserisce nella letteratura italiana. L’autrice realizzava per la sua terra, il Molise, quanto aveva fatto Grazia Deledda per la Sardegna e Matilde Serao per Napoli.
A Jovine si deve, soprattutto con il romanzo Signora Ava ( il nostro Gattopardo, che parla di " cafoni e scritto dalla parte dei cafoni, Fofi ) che costituisce un vasto affresco della società molisana al tempo della caduta del Regno borbonico, il recupero di quell’arte verista ( ed altro ancora ) che era mancata alla letteratura molisana dell’ottocento, intrisa com’era di un’arte manzoniana di seconda mano, quella appunto derivata dall’influsso degli epigoni di Manzoni, quali Prati ed Aleardi, per intenderci.
Non credo che Luigi Russo abbia fornito una spiegazione plausibile di quanto accadde. Riteniamo, nei limiti di una visione estemporanea ed immediata - che esige un doveroso approfondimento - che l’intellettuale molisano (espressione di una società piccolo-borghese, - affacciatasi , e in maniera talvolta quasi servile, da poco alle soglie della storia- avida, egoista e rigida, almeno nelle intenzionalità e nell’esteriorità dei comportamenti), avviluppato com’era nella tradizione vetero illuminista risorgimentale, sensibile agli influssi delle scienze neopositiviste, mostrava più interesse al settore storico giuridico amministrativo che non a quello delle belle lettere che sembravano promettere fughe e fantasie, ma scarse prospettive di concretezza.
Peraltro l’istruzione ( nei seminari e nelle scarse scuole locali, attraverso pedagoghi, nostalgicamente legati ad un passato, seppure glorioso di ideali, comunque trascorso ed improponibile) veniva impartita quasi esclusivamente su testi del seicento e del settecento e non favoriva di certo la pratica del nuovo, in un territorio in cui la circolazione delle idee, e in particolar modo di quelle degne di trasgressione e liberatorie, comunque si rivelava difficile, nonostante il proliferare di quotidiani locali. A conclusione riportiamo un giudizio di Francesco Iovine che ci ricorda che le biblioteche del galantuomo si " arrestano di netto all’inizio dell’unità nazionale ".
Il secolo XX , apertosi con l’esaltazione del progresso umano e tecnologico, con la fulminea promessa di piacere e spensieratezza che la Belle Epoque andava strombazzando, si ritrova ben presto nel respiro gelido ed angosciante di una guerra priva di confini, con la minaccia di una crisi economica incombente, con le innumerevoli morti causate dall’epidemia definita " spagnola " per sfociare nell’arco di alcuni lustri nella miseria causata dalla Grande Depressione del 29, e nei bombardamenti di Guernica che tolsero le ultime illusioni e mortificarono la speranza.
In Molise la prima esperienza significativa - dal punto di vista letterario- è fornita , all’alba del nuovo secolo, dalla poesia di Luigi Antonio Trofa: l’autore rompe in nome della novità (o forse della verità?) gli schemi rigidi dell’endecasillabo per utilizzare un verso libero, più duttile e confacente al suo canto e lo fa con un piglio moderno tale da anticipare in alcuni versi il pensiero ed elementi linguistici che caratterizzano la poesia di Ungaretti. Ha un solo "difetto" la sua poesia ironica e sapiente : quella di essere scritta felicemente in vernacolo e quindi in un linguaggio poco accessibile a chi non mastica il dialetto, e pertanto poco trasferibile fuori dal territorio molisano; e tale difficoltà è accentuata, inoltre, dall’essere l’autore restio a pubblicare.. Poesia, peraltro , aperte alle istanze futuriste , e alla poetica di un Pascoli o D’annunzio.
Ebbene in questo recupero del dialetto, fatto di attenta ricerca della purezza linguistica, secondo i dettami forniti da Francesco D’Ovidio, si enuclea il filone principale che determina l’elemento ( e non l’unico ) caratterizzante l’identità letteraria entro la quale muove i primi incerti passi l’intellettuale molisano: e mi riferisco non solo a Trofa, ma al riccese Cima, allo stesso Altobello ( con la saga di Minghe Cunzulette, il poeta filosofo contandino - realmente vissuto - in cui l’autore, nel prestargli i propri pensieri, finisce con l’identificarsi ), e soprattutto a don Raffaele Capriglione, il medico poeta, dall’errabonda vicenda esistenziale che, rompendo con gli schemi desueti, ci fornisce una poesia rutilante fatta di onomatopee e di epanalessi iterative: è come assistere allo scoppio inatteso di fuochi improvvisi in un notturno. La sua poesia si può paragonare a un quadro di Arcimboldo.
Nel filone della poesia in dialetto è da ritrovare l’identità poetica molisana che troverà la sua forma più compiuta più elevata in Cirese, l’autore di Lucecabelle. Ci ricorda infatti il poeta: "Il dialetto è una lingua. Perché possa essere mezzo di espressione poetica e trasformarsi in linguaggio e immagini è necessario possederla tutta; avere coscienza del suo contenuto di cultura e della sua umana forza espressiva . Nell’infanzia e nella prima giovinezza ho parlato, raccolto e cantato canzoni, gioito , pianto , pensato in dialetto".
E’una vera e propria scuola quella che dà luogo alla poesia dialettale di questo secolo: una scuola che ritrova la sua unità poetica, fatta di rigore stilistico ( anche se manca una grammatica comune) e di elementi poetici comuni quale : l’attaccamento alla terra ( in Giose Rimanelli , Call me Molise, c’è una vera e propria identificazione, radici che forte ebbe ed avvertì Beppe Jovine) , il tema della fatìa ( Giovanni CerriEugenio Cirese ), della memoria e della morte, dell’amore e della speranza (Beppe Iovine, d’Acunto, Iacobacci seppure con sfumature diverse nei diversi autori ), della bellezza ( sciure)del paesaggio in cui incomincia a penetrare il male , ( le spine ), il dolore ( Guerrizio ).
Elenco innumerevole di quanti pensarono e hanno scritto in dialetto. Nè mancano esperienze in lingua e pensiamo alle poesie di Sabino D’Acunto, il poeta della memoria e della fede Sulla strada di Emmaus., a quella di Nicola Iacobacci, il poeta dell’amore La baia delle tortore.
Emilio Spensieri di Vinchiaturo è un poeta morto negli anni '90 di cui ci piace ricordare l'umanità serena velata di nostalgia.
Significativa anche l’esperienza di Laura Vitone , donna schiva ma dal timbro poetico " serio , forte " ( Betocchi ).
Per quanto attiene alla narrativa soltanto alcune annotazioni.
Da una parte, come abbiamo detto, il tentativo di recuperare la lacuna registrata nel secolo precedente con i racconti e le novelle di Lina Pietravalle; ma il realismo di quest’ultima si venava di un robusto psicologismo attento alle mode decadenti del tempo e si arricchiva di un’espressione linguistica personale, aulica ed impreziosita, fatta di significativa efficacia; dall’altra, abbiamo un Iovine maturo, che approda al neorealismoricuce lo strappo verificatosi nell’ottocento, riconduce, in special modo con " Le terre del Sacramento" la narrativa molisana nell’alveo di una letteratura nazionale: la tragedia di Luca diventa il dramma di un intero popolo , simbolo di ogni lotta giusta in nome della dignità della persona umana. Ci sarà sempre un Luca Marano da compiangere, da esaltare nel ricordo: e il canto si fa epico travalicando così i limiti angusti del tempo e dello spazio.
Un caso unico resta, nel panorama della nostra narrativa, quello di Rimanelli, forte di una cultura complessa ( non solo europea), di un’esperienza ( e non solo culturale ) dilatata all’inverosimile.
Il Molise, call me, Molise!, ( il Molise come metafora dell’esistenza, come ombelico del mondo da cui distaccarsene e tornare, come utero che alimenta la poesia e la espelle perché cresca ) è il luogo introiettato nell’arco dell’intera vita, è il ricettacolo della conoscenza elaborata e filtrata da una esistenza dura ( in cui la solitudine brucia alle fiamme delle passioni ), è il prodotto di una realtà che non è fatta soltanto di terra e memoria, ma è mito, e storia personale, è visione celestiale e rimpianto, dannazione e speranza di salvezza: tutta materia ribollente, magma di idee, carne, sangue, pensieri, desideri, appetiti, sogni, odi, rancori ( e alcuni giustificati al cospetto della Storia ) posta davanti a noi e controllata dall’uso sapiente, intelligente e raffinato dei vari codici linguistici che lui utilizza a piacimento e con estrema facilità; il che doveva strappare l’entusiasmo di un critico e di un esperto di linguaggi qual è Burgess, l’autore di Un’arancia ad orologeria.
Quello di Rimanelli è il tentativo di apertura alla più vasta letteratura mondiale mai operato da noi. Credo che Rimanelli abbia tentato di fare del Molise quello che ultimamente ha fatto Sciascia, sulle orme di Verga, Pirandello, Quasimodo, della sua Sicilia.
Significative ci appaiono le testimonianze di Luigi Incoronato, uno scrittore impegnato a sinistra che ebbe a cuore le sorti del popolo molisano, incline all’anarchismo letterario, autore di Scala a San Potito e di Morunni , " costruito per convergenza di narrazione intorno al nucleo centrale di un paese del Sud affrontato con l’esatta coscienza dell’improponibilità sostanziale di un semplificato rapporto immediato tra fatto e parole " ( Giorgio Barberi Squarotti ), aperto tra l’altro ad esperienze neoavanguardistiche per quanto attiene al linguaggio; di Franco Ciampitti, scrittore sportivo, che con il Tratturo ci ricorda la fine della civiltà della Transumanza; di Felice Del vecchio , autore del romanzo La chiesa di Canneto: un intero mondo- destinato a scomparire- gravita intorno ad una chiesa. Ricordiamo tra gli altri Luzzato, autrice del romanzo L’incontro in cui vengono messi a confronto due mondi diversi e contrapposti. Elvira Tirone con Oltre la valle; Vincenzo Rossi , autore di libri di poesie, di romanzi e racconti , tra i quali ricordiamo Fonterossa, e Il tarlo, ha cantato l’amore per la sua terra talvolta con nostalgia, talvolta con rimpianto (soprattutto con un indicibile amore per quella sua terra di Molise vilipesa e violata dalle insidie dell’uomo e del modernismo), che finisce con il contrapporre la campagna alla città, i padri ai figli; Donato Del Galdo con Vita di contadini; Simonetta Tassinari con Gente di Pietra. Ricordiamo, inoltre, Beppe Iovine con i racconti La luna e la montagna; Sabino D’Acunto con Le farfalle non volano più. Ed infine Pietro Corsi (definito un " irregolare di ascendenza rimanelliana ") lo scrittore di Palenche, o dell’ozio; del romanzo La Giobba, o della speranza, che riposa altrove, lontano dal Molise, nelle lontane Americhe. Anche qui si sviluppa una letteratura che ha radici in comune con la nostra terra. Significativa tra le tante ci appare l’opera di Nino Ricci, autore di Lives of the saints, tradotto in italiano a cura di Gabriella Iacobucci. Il libro, il primo di una trilogia (una vera e propria saga) racconta di un bimbo ( il cui padre è andato in America in cerca di fortuna ), strappato alla fanciullezza troppo presto, teso com’è a difendere l’onore della madre - una vedova bianca rimasta incinta per il morso di "un serpente dagli occhi blu" in un paese in cui tutti sanno e tutti parlano, in un luogo in cui Amore, nascita e morte, mito , favola, pregiudizi, superstizioni, tradizioni ed usi si intrecciano saldamente fra di loro in un continuo rimando.
Tra i tanti poeti dialettali ricordiamo Camillo Carlomagno, Luigi Bifolchi, Mario Morrone, Ermanno Catalano, Sergio Emanuele Labanca, Nicolino Di Donato. Giovanni Barrea, Pasquale Di lena, Nicolino Camposarcuno, Mario Saverio De Lisio e il termolese Carlo Cappella.
 
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RAFFAELE CAPRIGLIONE

Tra fine ottocento ed inizio del nuovo secolo incappiamo nel canzoniere di Raffaele Capriglione, il trovatore molisano ( Santa Croce di Magliano , 1874- 1921 ) che con ironia e dissacralità, fino a diventare volgare e sanguigno, descrive personaggi "emblematici", inquieti e stravaganti, colti - con il tratto rapido tipico del nevrotico- sullo sfondo di un mondo nel quale l’autore opera una sorta di simbiosi, di liquefazione o di appropriazione, o se volete di mimesi e di metamorfosi (come accade per Dafne) mediante la quale gli elementi naturali ed animali finiscono con il trasfondersi in quelli umani.
E’ quanto ritroviamo nei versi del componimento Ciammerucone.
Capriglione con un linguaggio grossus, mescolando i vari dialetti (perfino quello veneto ), alla stregua di un novello Folengo, mette alla berlina la società contadina e popolare del suo tempo, ce ne svela le ipocrisie e le debolezze, ce ne dà, attraverso la caratterizzazione ed accentuazione dei difetti dei personaggi, un affresco degno di Brüegel il Vecchio.
Disegnatore per passione ( fu medico di professione ) abbiamo paesaggi e volti strappati alla strada: mordace, ed ironico, blasfemo ed irriverente volse lo sguardo acuto al mondo dolente e alla miseria – e non soltanto economica- della sua gente; il che diventerà materia del suo "canzoniere".
Nell’inferno quotidiano di Capriglione la poesia è lo specchio di un mondo inquieto che si agita : uomini, cose, il bestiario al completo è tutto un coacervo di immagini e suoni che si rincorrono, si scontrano, si sovrappongono si rimandano: una girandola di nomi, di suoni onomatopeici, di colori, una confusione tale che affascina e rapisce, che dà ubriacatura…fino a che il verso si fa musica: sembra di essere capitati, senza volerlo, in un quadro delirante di Bosch. Un esempio lo ritroviamo in Primavera.
In lui la poesia diventa sfogo dell’animo, liberazione delle intime ossessive pulsioni.
Tra le sue opere – disperse - è da segnalare La settimana Santa a Santa Croce di Magliano, in cui la ritualità della festa diventa occasione di poesia. Una Antologia è stata pubblicata a Caracas, in Venezuela, a cura di Michele Castelli. Di lui hanno scritto – tra gli altri- Bucci, Faralli Martelli. Di questi è l’interessante e puntuale saggio Raffaele Capriglione un "caso" letterario tra Ottocento e Novecento.
Ed effettivamente quello di Capriglione è un caso letterario notevole.
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ECCEZIONALE !!!  Testi e audio
Raccolta di tutte le opere di Capriglione a cura di Michele Castelli
https://michelecastelli3.wixsite.com/mika/antologia-capriglione
 
R.Capriglione di Ugo D’Ugo
https://www.ugodugo.it/capriglione
 
La Settimana Santa a Santa Croce di Magliano
https://www.santacroceonline.com/2016/news/feb/16_29/capriglione/index.htm
 
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LUIGI ANTONIO TROFA

In Luigi Antonio Trofa (Ferrazzano 1879 - Campobasso 1936 ) ironia e levità, arguzia e azione ( indimenticabili le sue scorribande -e non soltanto quelle di tipo letterario, e soprattutto la verve umoristica sono i tratti salienti di un poeta che fa precipitare la moderna avanguardia futurista nel respiro addormentato della Provincia Sepolta. L’esperienza poetica troverà l’ espressione sua più felice in Rime Allegre del 1921. Si appropriò delle " cadenze espressive più caratteristiche della sua Ferrazzano, piegandole a un congegno ritmico di disinvolta vibralità moderna" ( Paratore ). In Pampuglie, poesie in vernacolo pubblicate postume nel 1973, la vena ironica si fa più mesta e triste, più intima e sofferta. Così nella poesia Tiempe pe’tiempe la malinconia si vena di smarrimento e struggimento; per liberarsi dal peso della malinconia non resta che agognare l’angolo romito del suo paese, Ferrazzane.

Luigi Antonio Trofa di Giambattista Faralli
http://userhome.brooklyn.cuny.edu/bonaffini/DP/trofa.htm

“Muglièrema ha respuòste”, poesia di Luigi Antonio Trofa
https://www.altosannio.it/muglierema-respuoste-poesia-luigi-antonio-trofa/
 
“Mariteme m’ha scritte”, poesia di Luigi Trofa
https://www.altosannio.it/mariteme-mha-scritte/
 
Quando la Poesia incontra la Musica di Giuseppe Tabasso
https://molisedautore.blogspot.com/2008/11/luigi-antonio-trofa-la-sua-poesia-le.html

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LINA PIETRAVALLE

Tra gli anni anni 20 e 30 Lina Pietravalle ( Fasano 1887- Napoli 1956 ) con le sue novelle e racconti e l’unico romanzo Le catene introduce la realtà molisana (un Molise scanusciute) nel più ampio panorama della letteratura italiana. E lo fa con un verismo crudo e duro mitigato dalla vena poetica e messo in risalto da un utilizzo felice dell’uso del linguaggio.
I suoi cafoni adoperano un linguaggio che rasenta il canto, fatto di rara eleganza, che pare "oro incastonato sul ferro e miel vergine che cola nei preziosi vasellami", senza con questo venire meno ai modi di dire propri di un dialetto forgiato nell’umore del tempo, dall’espressione forte e terragna tipica dei contadini di altri tempi.
Tra le sue opere segnaliamo : I racconti della terra, 1924; il fatterello 1928, Marcia nuziale, 1932. Postumo , nel 1960 Erbe amare. C’è nei personaggi dei suoi racconti una sorta di riservatezza, di orgoglio, la capacità di sopportare stoicamente le avversità e gli inganni della vita: ma quando esplodono le passioni , nulla le può arrestare e queste erompono con la furia e la violenza dei torrenti che divorano gli argini e tutto travolgono.
Del 1931 è Molise in cui l’autrice con il tocco felice del pittore ispirato ci offre uno spaccato di questo luogo, "impenetrabile, asciutto come le argentee selci di cui son fatti i suoi focolari e le sue case, e di un’indifferenza superba…"; terra ignota a più, arcana e di una bellezza selvaggia in cui si rispecchia e si comprende l’anima di un popolo fiero ed indomito.
Ma è anche una terra avara, dura che l’emigrazione, la bestia nera del Molise da tempo (come non ricordare il ver sacrum?) svuota di persone, come per una selezione naturale.
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Biogravia - Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Lina_Pietravalle
 
LINA PIETRAVALLE, UNA SCRITTRICE DIMENTICATA
Tra verismo e decadentismo di Ulderico Iorillo 
http://www.flaneri.com/2020/01/23/lina-pietravalle-dimenticata-critica/
 
Letteratura capracottese
https://www.letteraturacapracottese.com/lina-pietravalle
 
Lina Pietravalle….. da Salcito (Cb)
https://www.altosannio.it/lina-pietravalle-da-salcito-cb/
 
Giornata di studi: La selvatica timidezza di Lina Pietravalle
http://web.unimol.it/vecchio%20sito%20unimol/serviziweb.unimol.it/pls/unimol/consultazione8259.html?id_pagina=4376

Sora Berlusca (!!!) in un racconto di Lina Pietravalle
https://annasantoro.it/2017/11/03/sora-berlusca-in-un-racconto-di-lina-pietravalle-da-il-novecento-antologia-di-scrittrici-italiane-del-primo-ventennio-bulzoni-1997del/
 
Novelle Molisane di Lina Pietravalle
https://molisedautore.blogspot.com/2008/04/novelle-molisane-di-lina-pietravalle.html

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FRANCESCO JOVINE

Il neorealismo troverà la sua punta di diamante in Francesco Iovine (Guardialfiera 1902- Roma 1950 ) che, dopo lo psicologismo caratterizzante il romanzo Un uomo provvisorio ( il modello è Rubé del Borghese) che subì tagli ad opera della censura fascista ("Non vi è posto per uomini provvisori ed indifferenti "), si apre all’analisi dolente e amara delle sua terra che descrisse con la mano felice dell’acquerellista in molteplici quadretti d’ambiente. Scrive i racconti Ladro di galline ( 1940 ), Il pastore sepolto ( 1945 ), dello stesso anno è L’impero in Provincia. Del 1942 è il romanzo Signora Ava – rielaborazione di un racconto denominato Pietro Veleno- in cui l’autore ci dà un ampio panorama delle condizioni del Molise, la provincia sepolta- al tempo della spedizione dei "Mille " e alla caduta dei borboni. Fu anche autore di commedie.
Per Jovine tutta la storia del Molise ruota intorno al possesso della terra. E questo è anche il motivo dominante ispiratore del romanzo, Terre del Sacramento uscito postumo.
Le Terre del Sacramento costituiscono il romanzo della dignità dell’uomo e del suo affrancamento dal bisogno che rende gli animi imbelli, della speranza vergata con l’umore ematico (e perciò indelebile), dell’aspirazione alla libertà cui Luca - il protagonista del romanzo - si " affeziona" proprio perché ritenuta " impossibile ". Il travaglio di Luca è lo stesso travaglio di Iovine ( altrimenti non avrebbe senso fare letteratura ). Lo scrittore molisano concepisce le idealità come elementi concreti dell’esistenza, da perseguire con la determinazione e la fede del neofita. Ogni società - secondo Iovine- rappresenta la sua letteratura e ogni letteratura rispecchia quella società per cui i confini tra arte e vita sfumano e si rendono indistinti: ambedue vissute fino in fondo non ammettono deleghe, esigono fedeltà al proprio daimon, il demone che ispira e motiva all’azione. A tale richiamo non seppe, o non volle, sottrarsi Francesco Jovine.

Da Wikipedia, 
https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Jovine
Da Enc. “Treccani”
http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-jovine_(Dizionario-Biografico)/

Ricordo di Francesco Iovine narratore dell' emigrazione
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/10/10/ricordo-di-francesco-iovine-narratore-dell-emigrazione.html

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GIOSE RIMANELLI

Il Molise, terra dura, radice di ogni bene ( di notte si odono voci frammiste alle note dolenti, a un lamento di una tromba che evoca una orrenda strage ), costituisce il filo di Arianna, la strada dell’esistenza al cui interno si colloca e si comprende la poesia e la narrativa di quell’innocente iconoclasta della letteratura contemporanea che è Giose Rimanelli (Casacalenda 1926).
La terra natia (call me Molise) è una presenza costante, un leitmotiv dominante all’interno dell’opera del Nostro, da Tiro al piccione, a Biglietto di terza, da Peccato originale al volume di poesia Moliseide. La terra di Molise - la madre tellus in cui Giose si compenetra fino a costituire un unico indissolubile essere - è il protagonista di Molise Molise. In questa opera si aggira il lemure dell’emigrazione: quest’ultima è ferita che sanguina, è carne che dole. Nelle pieghe dell’animo dell’esule un ricordo lancinante ... Call me Molise! Il poeta intuisce che per recuperare l’innocenza perduta, per ritrovare il ragazzo che lasciò deve tornare alla sua terra, bagnarsi, come un tempo, nelle gelide lattee acque del Biferno.
In questo ritorno, il segreto della sua poesia, la possibilità di redimersi e di salvarsi a patto che come Euridice non si volga indietro. E’ il Molise della nostalgia notti molisane , dei ricordi e della memoria (la Stanza ), delle passioni ( odio- amore ), degli inganni e delle illusioni, e il Molise dei propri morti. Dirige me dominus, deus meus, alto si leva il canto del poeta: ed un canto di riconciliazione, un canto del perdono, un canto liberatorio, muta conversazione con il padre tanto amato e forse tanto odiato, ma di cui avverte prepotente e struggente la necessità della presenza nel momento cruciale dell’assenza.
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Giose Rimanelli  - Biografia
https://it.wikipedia.org/wiki/Giose_Rimanelli
 
Riscoprire Rimanelli, che attaccò il pensiero unico in Italia e fu “esiliato”
https://www.ilfoglio.it/cultura/2018/12/11/news/riscoprire-rimanelli-che-attacco-il-pensiero-unico-in-italia-e-fu-esiliato-228620/
 
Un ricorso di Giose Rimanelli di Pierluigi Giorgio
https://www.myrrha.it/un-ricordo-di-giose-rimanelli-di-pierluigi-giorgio-numero-13-gennaio-2019/
 
DALLA PARTE SBAGLIATA
Rimanelli e le memorie di una guerra civile  di Ulderico Iorillo 
http://www.flaneri.com/2019/09/19/dalla-parte-sbagliata-rimanelli-critica/
 
EVENTO - Omaggio a Giosè Rimanelli
https://www.molisenetwork.net/2018/12/19/evento-omaggio-giose-rimane3lli-scrittore-condannato-allisolamento/
 
Giose Rimanelli – Tiro al Piccione
http://resistenza.univr.it/novecento/html/letteratura/antonia/Tiro%20al%20piccione.htm
 
La voce plurima e unitaria di un avanguardista lirico
http://www.retididedalus.it/Archivi/2007/dicembre/SPAZIO_LIBERO/grimanelli.htm

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EUGENIO CIRESE

Eugenio Cirese (Fossalto 1884 - Rieti 1955) fu un poeta ...in dialetto molisano tra i più grandi che il Molise annovera. Lo stesso poeta confessava in Umanità del Molise di "aver pianto, gioito, pensato in dialetto". E ribadiva su La Lapa - una rivista di storia e letteratura: " Sono nato in un paese dove gli uomini avevano detto parole in lingua soltanto a scuola. Lingua popolare, vita, lavoro, sentimenti, riflessi e colorati tra i campi, le case e la piazzetta ".
Nel 1951 la raccolta in dialetto molisano Lucecabelle lo impone all’attenzione della critica. Una poesia, quella di Cirese, tutta tesa all’essenziale, a tratti perfino ermetica e soprattutto gli ultimi versi " angosciosamente, ancora, malgrado le punte di decadentismo ed ermetismo, romanticamente belli (Pasolini).
Cirese fu il poeta dell’amore, della morte, (sta vita che cammina a riabbraccià la morte), il poeta che ha cantato la fatià, la schiavitù quotidiana dell’uomo, ma anche il poeta della speranza. La fatica è tremenda : il sospirato riposo quando viene il tramonto porta l’animo alle alte sfere celesti ( repose ): La fatica regola ogni attività dell’uomo: il mondo ne è il risultato . Per impedire che possa avviluppare gli altri nella sua trama , il poeta pensa si rastrellarla tutta e di portarsela con sé al momento della morte, così da poter liberare l’umanità della sua presenza.
Oggi, ieri e domani la vita è sempre la stessa, è come una matassa da sbrogliare fatta di giornate lunghe e corte: ad estati calde subentrano inverni rigidi; nello scenario pallido del mondo è tutto un tendere alla morte. E questo accadrà sempre, come ieri, oggi e domani: sempre! La voce del poeta si ammanta di mestizia, di malinconia, di rimpianti per un’esistenza ritenuta migliore ( camina e mo). In Cirese c’è un’alchimia linguistica che pietrifica sulla carta le piccole cose affioranti nel magma della memoria. In questo processo alchemico e misterioso – che in definitiva è proprio il dominio della poesia – sta la grandezza di Cirese: dentre a la memoria tenghe ‘na mestecanze de vierze antiche e pe schiarì la voce l’aredìche". Del 1915 è il poemetto in ottave Ru cantone de la fata. Del 1932 è Rugiade. Scrisse racconti dal titolo Tempo d’allora. E’il 1935. Il suo capolavoro Lucecabelle è del 1951. Sulla sua lapide una semplice frase : " Eugenio Cirese poeta del Molise ".

Eugenio Cirese (Fossalto, 21 febbraio 1884 – Rieti, 8 febbraio 1955)
Biografia · ‎Opere · ‎Note

Eugenio Cirese - Wikipedia
it.wikipedia.org › wiki › Eugenio_Cirese
 
Eugenio Cirese - Ugo D'Ugo
www.ugodugo.it › eugenio-cirese
Eugenio Cirese, Oggi domani ieri. Tutte le poesie in molisano ...
www.etesta.it › materiali › 2012_2013_poesie di Eugenio Cirese
 
Eugenio Cirese - Siti - Libero
digilander.libero.it › jelsapeva › eugenio_cirese

eugenio cirese - il portale del sud
www.ilportaledelsud.org › cirese1
 
Eugenio Cirese profili | Facebook
it-it.facebook.com › public › Eugenio-Cirese
 
Per un'idea di Molise Eugenio Cirese, la scuola e la Gente ...
web-serv.provincia.campobasso.it › eventi › cirese › relazione_bindi

Risultati sintetici - Opac SBN
opac.sbn.it › opacsbn › opaclib › iccu › brief.jsp › iccu › error.jsp

Cirese, Eugenio 1884-1955 [WorldCat Identities]
worldcat.org › identities › lccn-n98079522

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GIOVANNI CERRI
Della poesia di Giovanni Cerri ( Casacalenda, 1900- 1970, autore del volume I Guaie ) Rimanelli riferisce che è caratterizzata da un "disperato realismo ". Ad emergere, senza dubbio, sono gli accenti crudi della quotidianità intesa come una rete fatta di tormenti e di disperazione in cui invano si dibatte l’umile cafone, confinato per un gioco sfuggente ed incomprensibile in una sorta di girone dantesco precluso alla speranza. Ci sembra di vederlo l’umile cafone con la giacca sopra le spalle mentre si stringe la cinta ai fianchi (ci ricorda il vecchierel canuto e stanco di Petrarca) e arranca lungo la dura salita fatta di spini e intoppi. L’ultimo passo è quello più duro, è tirato con il cuore ed impastato con il sudore.
Per Cerri guàie e fatìa accompagnano l’uomo da sempre: ogni sforzo teso a vanificarli si rivela impotente. Come la gramegna guàie e fatìa non si riesce mai a distruggerli.
 Giovanni Cerri – Biografia Wikipedia
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https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Cerri_(poeta)
 
Giovanni Cerri di Ugo D’Ugo
https://www.ugodugo.it/notizie-eventi/ricordato-il-poeta-cerri
 
Poeti molisani: Giovanni Cerri
https://www.moliseinfoto.it/giovanni%20cerri.html
 
I poeti molisani della seconda generazione dialettale
Giovanni Cerri di Domenico Donatone
http://www.retididedalus.it/Archivi/2009/ottobre/LUOGO_COMUNE/2_molisana.htm
 
Giovanni Cerri  - Dialetto molisano di Giambattista Faralli
https://www.amicomol.com/dialettomol.html

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SABINO D'ACUNTO

In Sabino D’Acunto ( Isernia, 1916 ) il tempo e la memoria (che è anche il titolo di una raccolta antologica dei suoi versi ) sono le categorie sensibili, cognitive ed estetiche in cui si struttura e si comprende la sua poesia. Il tempo è rappresentato con la metafora del rullo che tutto travolge in un divenire incessante e privo di pausa. Sembra non avere orecchi, non prestare attenzione ai rumori delle tube, all’affanno di Giosuè o al piacere di colui che grida " Fermati è bello ! "
La memoria è il luogo in cui avanza l’oblio: la memoria non può trattenere tutto, declina , peraltro , proprio con lo scorrere del tempo. Che cosa resta ? l’idea di aver bene operato: sull’agire retto ed ideale dell’uomo tempo e memoria finiscono con il suggellare un patto di eterna alleanza.
D’Acunto è il poeta che si apre alla speranza, a un’intimità tutta religiosa, fatta di amore cristiano che guarda alla salvezza dell’uomo, sospeso su un argine, in bilico tra il richiamo dei gorghi e le lontane dissolvenze sanguigne di un sole al tramonto.

Libri di Sabino d'Acunto - libri Genesi.org - Genesi Editrice
www.genesi.org › Autori
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È morto Sabino d'Acunto - Giovanni Petta
www.giovannipetta.eu › articoli › Giovanni Petta - sabino d acunto

Sabino D'Acunto ha attraversato quasi un secolo. Uomo colto ...
www.comune.isernia.it › artecultura › Sabinod'Acunto

Domande su Sabino D'Acunto - Molise d'Autore
molisedautore.blogspot.com › 2009/01 › domande-su-sabino-d

Sabino D'Acunto e il suo mondo letterario - Molise d'Autore
molisedautore.blogspot.com › 2009/03 › sabino-d-e-il-suo-mondo-let...
 
Libri D Acunto Sabino: catalogo Libri di Sabino Acunto ...
www.unilibro.it › libri › autore › d_acunto_sabino
 
D'Acunto Sabino - Biografie scrittori, poeti, artisti - Wuz.it
www.wuz.it › biografia › Acunto-Sabino
www.wuz.it

Il tempo e la memoria - Sabino D'Acunto - Libro Usato - Tracce ...
www.ibs.it › tempo-memoria-libri-vintage-sabino-d-acunto
 
Isernia in cartolina. Immagini e memorie - D'Acunto Sabino ...
www.libreriauniversitaria.it › ... › Materiali a stampa, libri e manoscritti
 www.libreriauniversitaria.it

Il Molise attraverso i secoli - Sabino D'Acunto - Editrice Lampo ...
www.copernicum.it › book › il-molise-attraverso-i-secoli-3340382
www.copernicum.it

A Isernia 'rinasce' Il teatro dialettale di Sabino d'Acunto - isNews
www.isnews.it › cultura-spettacoli › 40006-a-isernia-rinasce-il-teatro-...

VIDEO
Isernia, le opere di Sabino D'Acunto raccolte in un ... - YouTube
www.youtube.com › watch
 2:27
18 dic 2015 - Caricato da Telemolise
'Sernia mea, i versi di una poesia di Sabino d'Acunto ...
www.teleregionemolise.it › Servizi TG
 
 4:32
9 dic 2019 - Caricato da TeleRegione Molise
Servizi TG | 'Sernia mea, i versi di una poesia di Sabino d'Acunto illuminano corso Garibaldi | 9/12 ...
https://www.teleregionemolise.it/video/74335038-sernia-mea-i-versi-di-una-poesia-di-sabino-dacunto-illuminano-corso-garibaldi/

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    BEPPE JOVINE

Beppe Iovine ( Castelmauro, 1922-1998 ), autore poliedrico che ha suscitato l’attenzione di critici e studiosi , ritrova l’ispirazione del suo canto nel legame forte che ebbe con la sua terra d’origine, il Molise, terra che causa in lui descrizioni di un realismo sanguigno e carnale ( La sdrenga, racconti popolari molisani ) che ci richiama alla mente scene contenute nei lupanari di Pompei, ma anche occasione affinché il canto ritrovi la sua radice più vera e più connaturata: un canto intimo, sofferto e rievocativo come si rivela nelle stupende pagine di Viaggio d’inverno, l’opera sua più matura, il testamento spirituale in cui l’esperienza trasfigurata dal ricordo si fa materia di canto elevato... fino a diventare esperienza di morte, messaggio da affidare ai vivi. E su questa ultimo inquietante pensiero chiudere gli occhi... Di lui ebbe a scrivere Tommaso Fiore nella Prefazione a Lu Pavone "Un poeta autentico ci viene nientemeno dal Molise, povero di beni e non ricco di poeti".
Nel sui versi ritroviamo il senso della solidarietà umana Quando vedo un uomo; e il " male di vivere in All’ improvviso.
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Giuseppe Jovine poeta, narratore, giornalista e saggista Studio critico di Luigi Bonaffini
http://www.gruppocultura.net/associazionejovine/archivio/Bonaffini%20-%20Jovine%20poeta%20narratore.pdf
 
Associazione Giuseppe Iovine
http://www.gruppocultura.net/ass_jovine_poeta.htm
 
In ricordo del poeta Giuseppe Iovine
https://www.cblive.it/cultura/70723-in-ricordo-del-poeta-giuseppe-jovine-a-venti-anni-dalla-morte.html
 
Dialetto di Castelmauro – Giuseppe Iovine
https://fgranatiero.wordpress.com/2014/07/05/dialetto-di-castelmauro-cb/#more-6026



















































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PIETRO CORSI

La giobba di Pietro Corsi ( Casacalenda 1937 ) è l’epicedio della tragedia dell’emigrazione, della fuga dalla miseria, del bisogno ineludibile e sacro del lavoro. Sta a documentare la denuncia dell’alienazione ed impotenza provata sulla pelle indifesa in un ambiente ostile (e non soltanto dal punto di vista climatico). L’autore , sulla scorta di un’esperienza personale e dolorosa, pone in primo piano la disperazione dell’emigrato, la solitudine provata , il prepotente bisogno degli affetti impediti, il desiderio di ritorno , perché nel cuore c’è sempre un luogo, un paese ( un qualsiasi Palenche ) cui poter tornare per pascersi dell’ozio fino a non poterne più , fino a provare ancora una volta il parossistico vitale desiderio di fuga.
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 Pietro Corsi
https://www.ugodugo.it/riflessioni-intorno-alle-opere-narrative-di-pietro-corsi
 
ACQUERELLI E POESIA di Pietro Corsi
https://molisedautore.blogspot.com/2019/06/acquerelli-e-poesia.html
 
Il ricordo di un molisano illustre: Pietro Corsi
https://www.primonumero.it/2017/03/e-morto-lo-scrittore-pietro-corsi-il-ricordo-di-un-molisano-illustre/1488923595/

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EMILIO SPENSIERI

Emilio Spensieri ( Vinchiaturo 1911- 1993 ), poeta dei sentimenti che le piccole indefinite cose ( un ruscello, una montagna, un campanile, un innocente animale, un acquerello guardiolo, gli atti che sanciscono il ciclo della vita e della morte e perfino il soffio pervicace che scuote i vicoli del suo paese ) sanno evocare in un animo sensibile e schivo. Testimone della rottura di un equilibrio atavico tra l’uomo e la natura ( allorché le acque del fiume scorrendo cantavano canzoni d’amore ) il poeta avverte un profondo disagio per un mondo che gli sfugge e in cui non si riconosce più; in preda alla nostalgia al poeta non resta che affidare il suo dolore alla poesia Nu cante la fatica arraserena – e ‘n core z’appapagna ‘n’ata pena..
Tra le sue opere ricordiamo: Cumme fusse allora, 1957, poesie in dialetto. Itinerari: un viaggio suggestivo all’interno del Molise in cui la descrizione dei luoghi e del paesaggio si ammanta della magia della poesia. Vinchiaturo (1980) in cui il poeta si cala nel respiro della sua Vinchiaturo.Le Associazioni culturali molisane in Canada hanno voluto " adottare quale inno patriottico " la poesia Mulise . Di questo poeta, legato da un amore incommensurabile per la sua terra , abbiamo scelto le poesie Pajese e Campane de Vegnature.
 
Emilio Spensieri Biografia - ZAM.it
www.zam.it › biografia_Emilio_Spensieri

Libri Spensieri Emilio: catalogo Libri di Emilio Spensieri ...
www.unilibro.it › libri › autore › spensieri_emilio

Spensieri, Emilio - Opac SBN
opac.sbn.it › opacsbn › opaclib › iccu › brief.jsp › iccu › error.jsp

Spensieri Emilio Libri - I libri dell'autore: Spensieri Emilio ...
www.libreriauniversitaria.it › libri-autore_spensieri+emilio-emilio_spe...

Scheda realizzata da Barbara Bertolini e Rita Frattolillo
domino.provincia.campobasso.it › eventi.nsf › Emilio Spensieri 2
 
Emilio Spensieri | Discography | Discogs
www.discogs.com › artist › 5366708-Emilio-Spensieri

Emilio Spensieri
www.uniroma2.it › molise › turismo › letterat › spensi

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NICOLA IACOBACCI

Nicola Iacobacci ( Toro 1935 ). Ampia la gamma dei temi trattati da Nicola Iacobacci anche se molti riconducibili a quel suo Molise, fatto di elementi attinti dal mondo circostante paesaggi ( la strada strozzata dalla palude, la pioggia che diventa lago, il fumo dalle forme strane, pampini e ortiche, voli di uccelli e nebbia, mare e terre ), e alla propria intimità ed umanità intrisa di disperazione e dolore, di passioni, di dubbi ed incertezze, di desideri, di memoria e di immagini calde di donne, di un amore spesso presente, ricorrente talvolta in maniera ossessiva. Temi trattati con purezza linguistica, e ricercatezza di stile.
In Iacobacci la riflessione sui piccoli e grandi enigmi dell’umanità è plasmata e sorretta dall’intuizione poetica. La speranza (di/spero) è data dalla possibilità di uscire fuori di sé, dalla rete intrigata in cui si è confinati – e in cui è facile perdersi. Da qui la necessità di mimare la solitudine dinanzi allo specchio ". Il doppio ( l’elemento di trasferimento è dato dal potere della poesia ) è il poeta che alla stregua di un gabbiano ( il che ci ricorda l’albatros, il grande uccello marino di Baudelaire ) vola alto, e allora la di/sperazione dà luogo alla speranza, alla salvezza.
C’è però un lucchetto cifrato da aprire, una porta da spalancare: occorre il pungiglione delle vespe per penetrare il mistero della vita e della morte. Il poeta cerca di padroneggiare il mondo…per non subirlo. E per padroneggiarlo bisogna impadronirsene… Disegno ardito!

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La Poesia nel Molise – Nicola Iacobacci
http://www.retididedalus.it/Archivi/2009/marzo/LUOGO_COMUNE/poesia_molise_1.htm
 
Sei favole di Nicola Iacobacci – Giovanni Mascia
https://www.academia.edu/19617892/Sei_favole_di_Nicola_Iacobacci_1999_
 
E’ scomparso Nicola Iacobacci, poeta totale e cosmico
https://molisedautore.blogspot.com/2018/05/e-scomparso-nicola-iacobacci-poeta.html
 
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Carlo Cappella

E’ nato a Termoli nel 1926 ed ivi risiede. Autodidatta, cultore di storia e di folklore, dà tuttora un contributo alla ricerca storica. Ha scritto: “Sott’a mazze du castille”, “Rintocchi”, “U dialette termelese”, “Da Ternole a fore ‘i porte”, “Brusio di piazza”, “'A strecuelatore ” - Proverbi termolesi - contributi alla conoscenza della storia della cattedrale di Termoli e della città. Un “Contromemoriale” sulla storia di San Basso. E’ autore anche di testi (“I canti del mare”) musicati da Antonietta Lafratta.
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Carlo Cappella
http://www.prolocotermoli.it/carlo-cappella.html
 
Il Poeta, il pittore lo storico Carlo Cappella
https://www.primonumero.it/2019/09/il-poeta-il-pittore-e-lo-storico-il-sito-internet-che-omaggia-lamato-carlo-cappella/1530574712/
 
L’Addio a Carlo Cappella
https://www.termolionline.it/news/attualita/800608/dieci-anni-fa-laddio-a-carlo-cappella
 

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U Ciammerucone

Casa ncuolle e corna ncape
Ncopp’i vruocchele di rape
Ncopp’i fratte e pi cardune
Mmieze e spine e pederune
Ntra scarcioffele e scarole
Catalogne e peparuole
Mmiez’chiante de patane
laseverde e mulegnane
Pemmpedore de reggine
Uva tosta e uva spine
Mmiez’e frusce, erret’i mure
Pi curnicchie scure scure
Sott’i pampele di vite
Sule come e nu rumite...
Corna ncape e casa ncuolle
Ncopp’scerte di cepolle
Pi cappucce e pi turzelle
Piederusce e verzelelle
Tra carote e rafanielle
Pastanache e tutarielle
Tra checcumere e melune
Tra checocce e tra pepune
Tu spassije e rispassije
Strisce senza fa fatije
E te tire code errete
E rumane ncopp’i prete
Na fronne de nzalate
Na vavuglie innargentate
Tu me pare Barbanere.....

da "Poesia Dialettale" di Raffaele Capriglione- Editrice Universitaria Felici Pisa, 1972

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Primavera
Frammento

Quanne rire nciele u sole
Quanne scoppene i viole
Quanne a terra ze riveste,
Ze fa belle e mette mpeste,
Ze guernisce de verdure,
Tutte fronne e tutte hiure,
Quanne cantene I cardille,
Quanne escene I muschille,
E pell’arie cante e vole
Calandrielle e terragnole…
Mmiez’I chiuppe u tirlurì
Chiagne e u rille fa rì rì…,
E u muscone fa zu.., zu..,
E u cucule fa cu… cu…,
Tic… Tic… u pietterusce
Dent’I fratte e rrete I frusce;
Nu parcuozze u ruscegnuole
Cantà siente e te cunzuole;
E ze vede a palummelle
Ncopp’I rape e a nzalatelle;
Esce a l’ape ca frummiche,
Scopp’a rose, ca riddiche….
E rezompene I crapitte…;
Gira a gatte ncoppe u titte…
Ciammaruche ncoppe I spine;
Ranucchielle .....

da "Poesia Dialettale" di Raffaele Capriglione- Editrice Universitaria Felici Pisa, 1972
 
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Tiempe pe'tiempe
"... N’ora, ‘nu mése, ‘n’anne... " Cacchedùne
canta, e ppàre ch’allùcca, a ru quartiére;
e ‘sta sera de Luglie, vràsce e sciàmma,
ze spànne tutt’attuorne e non fenìsce.

Tièmpe pe’tiémpe : ru mùnne z’appiccia,
e J’- ‘ntromente - me mòre de frìdde.
L’àlema , mo, mmantè ‘nu passe tràmme,
ru passe tuorte de ru marenàre.

‘Rramà , pe’mmé. Sòna la rreteràta;
perciò, te rraccummànne , se me truove,
nen me tamènte , nen me dìce niente,
ca putarrìa, ‘nzia ma’, métterme a cchiagne!

A. L. Trofa Edizione Cassa di Risparmio Molisana Roma 1973
 
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..... da  Le catene

Era trascorsa un'ora dalla partenza di Antonino. Ortensia e Felicia passeggiavano sullo spiazzale della Cipressina invaso dalle erbe.
Il passo strideva, unica voce nel silenzio che le lucciole dei cipressi punteggiavano di piccoli pa1ipiti d'oro appena sensibili. Bisbigli d'una preghiera mormorata nel sonno che scende a chiudere il cuore eran i fruscii sommessi, gli indistinti soffi degli animali dormenti e lo sfrigolio del rosso lume a petrolio che dentro la casa si andava spegnendo, con lampi arsi e dolorosi, come se si lagnasse e soffrisse.
Ortensia disse piano a Felicia :
Che t'ha detto Antonino partendo?
Niente.
Come, niente?
Che doveva dirmi? Mi ha stretto la Mano ed è salito in automobile. Poi si è voltato....

Il cuore di Ortensia era pieno di un urto tremendo che le strozzava la gola.
E mi ha detto : Addio, Felicia, occhi d’argento.
S'arrestarono : erano dinanzi alla porta veneranda e canuta di calce della Cipressina, con 1'antico stemma dei Caldoro, corroso e forato dal vento e dall’acqua come un crivello.
La luna, ormai splendeva pura e senza veli, particola di candore e di maraviglia nel cielo in cui fuggivan le stelle, e la valle spariva, sparivan la casa e le montagne . Essa sola pendeva estatica a contemplare il mondo, come una pastura gelida nella sua calma, tutta di perla d’argento, senza affanni e senza brutture, nobile, sontuosa e severa. Alzarono gli occhi e lessero la lapide scritta da Gelasio Caldoro a Riccardo, da quella soglia partito, tre anni prima, per non più ritornare.
QUI
PRIMA DI CADERE ATTERRATO
R ICCARDO CALDORO
SOSTO’ CONTANDO LE STELLE, E CONVERSANDO CON ESSE
COME GLI ANTICHI PASTORI
SCELSE LONTANO DAL MONDO
LA SUA FELICE DIMORA.
OR GUARDA SERENO
A QUESTE PATETICHE VALLI
DEL SUO MOLISE ESTREMO POETA E GUERRIERO
E SCIOLTO IN PURISSIMA LUCE
CONSOLA I MISERI CUORI CHE RIMASERO A PIANGERLO.

Le due sorelle si allacciarono tremando e s'udiva il fitto cader delle lagrime come una quieta rugiada. Giuliva si avvicinò scalza nell’ombra e domandò con lo sguardo degli occhi pinti d’etere rusticana, ardente nell'ombra: - posso chiudere la porta?
- Ah, la porta non è chiusa, è vero?, - fece Ortensia. – Avete ragione –
Felicia allora afferrò Giuliva per il braccio e sentì il calore delle sue carni avvampate. Come un invito a resistere.
Giuliva – disse con voce alterata dallo sforzo . – Io sono allegra stasera. Giuliva rispose calma e profetica: - E l ‘angelo che passa dice Amenne. E sono allegra perché abbiamo riaperto la Cipressina.
- Come face bello qua sopra! – commentò Giuliva stendendosi pigramente , rauca di delizia, sulle parole. - E veniteci sempre a signoria. e sempre ci verremo, - rispose Ortensia col viso luccicante di lagrime asciugate di nascosto, le spalle volte verso il muro.Felicia cinse il collo di Giuliva che esultò coi muscoli potenti sotto la sua mano.
Ohi Giuliva, fammi una bella cantata. Cantami la " Ritornata "
Giuliva si pulì la bocca, come per mondarsi le labbra e i denti di latte, e incominciò affiochita, tenera e religiosa come il canto di una cornamusa, assai lontana:
Ti vengo a riverire, ingarofonata
La "Ritornata " mia ti consaluta,
Ora per ora aio domandato,
Dismenticare a voi non ho potuto,
Ora per ora un carcere di pene,
E ritornato sono alle catene.

L. Pietravalle Ed. Mondadori

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da.....  Molise

Ma per ritornare al fenomeno dell’emigrazione che in Molise fu imponentissimo tanto da segnare la più alta statistica emigratoria italiana, dirò che tra mali e beni cogniti, ( è sparita così dalla mia contrada la casacca del Trigno che faceva le purpuree femmine di Bagnoli del Trigno simile ad anfore grottesche), il Molisano è rimasto in gran parte attaccatissimo alle sue origini, all’antico ceppo della sua tradizione, e soprattutto alla donna del suo sangue. Essa è l’unica che intende la sua ombrosità taciturna, la timidezza fiera, la fedeltà irrevocabile. Ed anche arricchito è ritornato all’aria gentile, com’essi la chiamano all’aria nativa, per scegliere la femmina, e, quando diversamente non era possibile, sposando per procura. Anche oggi, figli di Molisani americanizzati e nati in America, seguono la legge ereditaria e gettano il grido d’amore alla sconosciuta della terra che li riavvicina, come la favella materna, al cuore della Patria lontana. La ritornata, che io ricordai nel mio romanzo Le catene, è appunto un fiore di nostalgia e di malattia.
Essi, i rugginosi bifolchi , i crudi pastori, sono i figli spurii della grande famiglia umana, le mansuete bestie soggette, simili a quelle che tuttavia insegnano all’uomo fedeltà, fierezza e pazienza qualità troppo spesso negative o figlie della sua diabolica potenza nel mentire. Ma quando scocca l’ora tremenda dell’olocausto per un perché insolubile, noi che ragioniamo o crediamo male; essi che non ragionano credono.
E questi figli spurii diventano gli splendidi primogeniti, i costruttori infallibili della dignità, della gloria e forse anche dell’arroganza di un popolo.
Così il barbaro Molise disse la sua parola in guerra e la dirà anche ancora. Oggi tace. Tra poche strade, patriarcali industrie, poetiche usanze, si svolge la vita amorfa della sua fatale tendenza a rappresentare fermandosi la sincerità e la forza umana.
Grano e figli oggi, dice il piccolo gagliardo popolo del Molise che quest’anno si gloria della " Sagra della Maternità" coronato di spighe er di floride culle, ed eroi domani.
Da questa gente io sono nata, o Signori, con altero sangue, ferma come le pietre del mio nome, onorata dei difetti sostanziali della mia stirpe, originale come la tradizione che preme di linfa vivace ed agreste le imperiose vene dell’antica feudataria.
La feracità dell’istinto non è mai maniera, Signori, ma se ciò fosse, amate la mia maniera terrestre, perché così solo, nella mia tenace fatica, comprenderete ed amerete la significativa e fiera terra che io volli per prima rivelata agli Italiani: Il Molise.
L. Pietravalle - Ed. Nemi Fi

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Morte di Luca Marano
In quel momento, di fronte, spuntò un gruppo di fascisti. Gesualdo , il canonico e Ferdinando tirarono contro quelli che avanzavano. Luca si chinò, raccolse il suo primo sasso e lo lanciò. Sentì un urlo di dolore. Un altro gruppo di fascisti spuntò a destra ma fu costretto a ritirarsi da una gragnuola che partiva che partiva da un altro cumulo di pietre dietro il quale si erano appiattati altri contadini accorsi dai margini orientali della tenuta. Luca si chinava rapido, raccoglieva le sue pietre, mirava calmo, le scagliava sottomano e le mandava sibilando contro il bersaglio.
A destra, a un tratto, carponi, con il respiro corto, si vide arrivare Marco Cece; aveva una ferita sulla testa e il viso imbrattato di sangue. Arrivato dietro alla maceria si rialzò sulle ginocchia malferme.
Volevano picchiare le donne, - disse a Luca - e mi sono difeso con la zappa.
Ha sangue sulla faccia, - disse Luca.
Credevano di avermi ammazzato, ma è duro Marco Cece, - disse il vecchio con voce fioca.

Qui si udì il grido di Gesualdo:
Giù, Luca!
Ma Luca e Marco Cece erano stramazzati con la schiena rotta, senza un grido, con le braccia levate.
Gesualdo si volse sul fianco, i suoi occhi si fecero sottili come lame, estrasse il revolver dalla tasca interna della giacca, si appoggiò sul gomito e scaricò l’arma sui due fascisti che avanzavano con le pistole in pugno. Caddero con le mani contratte sul ventre.
Quando vide un altro gruppo che avanzava urlando verso la maceria, si alzò in piedi e scaricò tutti gli altri colpi; poi si piegò sulle ginocchia facendo sangue da dieci ferite. Il canonico era rimasto incollato al fango; sollevò il capo e lo guardò con occhi appannati; pensò che era strano che Gesualdo, così pallido, avesse tanto sangue rosso.
Arrivarono i carabinieri e i soldati. Incatenarono tutti gli uomini che venivano con le mani nude e I visi chiusi dallo spasimo, verso il punto dove era caduto Luca Marano.
Immacolata scendeva lentamente seguita dal corteo delle altre donne, mugolando. Da tutti i lati delle Terre venivano le donne e si raccoglievano intorno alla maceria. Luca, Gesualdo e Marco Cece furono adagiati sulle pietre. Gesualdo si era svuotato di tutto il suo sangue ed era compatto come un sasso.
Luca aveva l’ombra della giovane barba sul viso ed ancora un debole incarnato sulla gote; Marco, le orbite profonde dei cadaveri antichi.
Davanti alla maceria c’era la pozza del loro sangue che la terra fradicia non riusciva a bere.
Immacolata Marano alzò le mani al cielo con un urlo e si inginocchiò nel fango; poi tacque, con la testa bassa, e fissava la pozza di sangue. Le donne la presero sotto le ascelle e la trassero indietro. Poi fecero siepe dei loro corpi, ai congiunti degli uccisi. Rimasero muti a guardare i morti finché la cima del Timbrone non cancellò l’ultima luce. Quando la notte divenne buia, i vecchi accesero i fuochi alle spalle dei morti. A un tratto Immacolata Marano urlò:
Luca, oh Luca!- e si mise le mani intrecciate sul capo dondolando sul busto.
Luca, spada brillante, - gridò con voce giovanile.
Spada brillante, - ripeterono in coro le altre.
Stai sulla terra sanguinante.

Via via le donne si misero le mani intrecciate sulle teste, altre presero le cocche dei fazzoletti nei pugni chiusi e li percuotevano facendo:
Oh! oh! Spada brillante, stai sulla terra sanguinante!
T’hanno ammazzato, Luca Marano.
A tradimento, Luca Marano.
Non lo vuole la terra il tuo sangue cristiano.
Difendetevi le terre del Sacramento.
Erano nostre, nostre le terre.
Avevamo le ossa per testamento.
Le avevamo scavato con le nostre mani.
T’hanno ucciso Luca Marano.
Piangete anche Marco Cece!
E’morto anche Marco Cece, stasera.
Era vecchio e aveva patito fatica, fame e galera.
Morte e galera su Morutri.
Le donne, sole, col pianto.
A lavorare, le donne soltanto.
Piangete, donne; domani con la zappa in mano non si piange.
Luca Marano, spada brillante; stai sulla terra sanguinante.
Non piantate zappa e bidente sul sangue cristiano.
E’il sangue di Luca Marano.
Aveva la luce nella mente e gli occhi di stella.
E Gesualdo era suo fratello.
Torneremo sulle terre maledette; - il sangue avvelena l’acqua santa.
Ci verremo senza messa; - i figli vogliono pane – anche se è pane di Satanasso.
Non bestemmiate, donne cristiane.
Per noi fame e dannazione – ma per i figli paradiso e pane.
Torneremo al Sacramento – Saremo serve, saremo; - ma avremo di lutto il vestimento.
Per tutti gli anni che durerà buio e galera – vestiremo di panno nero.


Piansero e cantarono grande parte della notte, rimandosi le voci, parlando tra loro con ritmo lungo, promettendo tutto il loro dolore ai morti. La notte era buia e le voci si perdevano sulla terra desolata oltre il circolo di luce che faceva il fuoco, ancora vivo.

... da Le Terre del Sacramento  di F. Jovine - Ed. Einaudi
 
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da....
Molise Molise

E dolcissima era mia madre. Anche da grandicelli ci cantava fatti la ninna fatti la nanna. E rideva da quella ragazzina che era.
Sonno che venisti dalla valle
Venisti a piedi
Venisti a piedi e ritornasti a cavallo,
con un cavallo nero e uno rosso
con la briglia d’oro
con la briglia d’oro
con la briglia d’oro e la sella di camoscio, con la sella di camoscio e le staffe di brillante
sopra ci stava
sopra ci stava un cavalier galante…

Amava i fiori e le parole gentili, mia madre. E noi, anche da grandicelli, l’ascoltavamo in amore. Fatti la ninna, fatti la nanna. I nostri occhi eran sempre svegli.
E diciamo diciamo diciamo
Le lenzuola con che le facciamo?
Pigliamo i gusci delle uova
E facciamo le lenzuola.
E diciamo diciamo diciamo
Le coperte con che le facciamo?
Scortichiamo la lucertola
E facciamo la coperta….

G. Rimanelli - Ed. Marinelli IS

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'N Eterne
Ogge lu pane.
Iere, lu recurdà.
Demane, lu recumenzà.
Ogge, iere, demane.

Lu vìnnele trapàna la matassa,
z’aggliòmmera lu file e scorre e passa.

Pàssene a un’a una estate e vierne.
Iè nu succede che non sembra vere
sta vita che camina
a riabbraccià la morte.
Ogge e demane: iere.
‘N eterne.

E. Cirese - Edizioni Marinelli Isernia

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Pover'amore
Ru munne è viecche e ce ne so passate
speranze a fa sunnà la cuntetezza.
Lu tiempe de gudé nn’è mai venute
e tu povr’Amore scanu sciute,
te scié nnascuse sotto a le Tre croce
a chiagne senza voce.

da Luccecabelle di E. Cirese - Edizioni Marinelli Isernia

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Cafone
Tu che t’ammiénte
de sole e diente,
de lota e femiére
e fié tante preghiére
quanne ziéeppe a maiése,
tu sule crisce u ‘rane
che dall’u pane
a gente d’ogne paiése.

Toste, scruntrose
è ssa vita tìa
fatte de stiénte e fatìa.

Dìcene sèmpe ca tu sié ruzze
Hìe ce crede.
T’haie viste tante vote
taccarìa ciucce e mule
e torce muzze-muzze
a ‘recchia de’na pècura
despettòsa;
e t’haie viste cutelià
moglie e figlie
sott’a nu stiglie de paglie.

Dìcene pure ca sié salevagge.
Hìe aresponne: è u vere.
T’haie viste parlà
ca meréia di chiante
e rire e pazzeià
che nu file de sole
ca chiate dell’acque
t’aremannà diritte dent’all’uocchie;
e t’haie viste chiagne
pe nu pecìne muorte
dent’a rocchia dell’uorte.

Te desprèzzene e te chiàmene cafone.
Cafone sié!
Ncopp’i spalle toste puorte
u pise da gènte du munne
e dell’anemàle che crisce e che piésce.

Hiè te vuoglie bene.
Tu sié ‘ccide puorce e crape
gallìne e quenìglie
pe sazià tante figlie
e quanne puorte u ‘rane
all’ammasse
liess’arrete
- ze sènte a ciente miglie addarasse-
addora da crete arrascìate
nell’ogne di dite:
che è a-ddora dell’ome e da vite.

da I Guaie di G. Cerri Editrice Marinelli Isernia, 1978

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Com’a gramégna

Guàie e fatìa
i truove pa via.
So’com’a gramégna:
nu cacchie arehègne
nu campe, e s’a brusce
renàsce da rusce.
Fatìa e guàie
ni struie màie.

da I Guaie di G. Cerri Editrice Marinelli Isernia, 1978

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Il Tempo e la memoria
Il tempo,
questo rullo leggero che implacabile
tutto schiaccia e annulla
nella sua corsa astratta
senza pietre miliari e senza approdi.
I ricordi,
queste aiuole riarse dove germina
il seme dell’oblio...
Beati quanti alle spalle si lasciano
i segni d’una vita bene spesa:
il tempo e la memoria su di essi
siglano un patto d’alleanza eterna.

Da il Tempo e la memoria di S. D’Acunto - Edizioni. Tracce, Pescara

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Quando vedo un uomo
Quando vedo un uomo
ravvolto nei suoi cenci
come un ladro che cova refurtive
o trama e tende impunemente agguati,
lo dissacro come uno spergiuro.
Ma poi penso :
e’ un uomo!
il suo cammino è lungo
e la sua vela è frusta,
il suo mare non ha porti,
è un’isola il suo cuore;
eppure ha le mani fragili da tendere:
se non le reggi
potrebbero mutarsi in crudi artigli;
ha grumi di parole nel suo petto:
se non le sciogli
potrebbero affilarsi come lame.
Uomo che guardi le Galassie ascoltami:
l’ uomo è l’ approdo dell’ uomo.
da "Tra il Biferno e la Moscova" di Beppe Jovine - Cartia Editore , Roma

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All’ improvviso
Fitta bruma
mi pesa la noia.
E all’ improvviso
nel brio di un filo d’ erba,
nell’ acre odore di mandorla acerba
ritrovi il riso chiaro
di una stagione antica,
e l’ ora sosta amica
come quando schiccavi i girasoli
sulla collina all’ ombra dei quercioli


da "Tra il Biferno e la Moscova" di Beppe Jovine - Cartia Editore , Roma

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Pajese
Ciele, muntagne, sole….
ci-ci de passarielle,
din-do de la campana;
frescura d’ alberucce,
‘na voce de funtana,
Ciele e muntagne scure
e nonna-no de stelle…
Rreposa ru paejese
de fronte a ru Matese

E. Spensieri in  " Prima antologia dei Poeti dialettali molisani " a cura di Emilio Ambrogio Paterno- Arte della Stampa Pescara.

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Campane de vegnature
Don… suona ‘na campana,
vola la voce, luntana:
freme pe’ ll’aria ru suone
e liegge e ddoce ‘n core ze rrepone.
Ferma ru vosche tutte le frunnelle,
le scenne ‘n ciele féermene ri cielle.
Suspira ‘na ‘ guagliona e ze fa croce,
l’ amore le rrcorda chella voce…
A vespere ‘na sera arrete a ru sacrate,
decette: - Mé ca scì! – a ru ‘nnammurate.
Sona campana pé ri ‘nnammurate,
sona pé cchi de me ze n’ è scurdate …
Parla ‘ssu suone a ssera
E ll’anema deschiude:
‘llu core tocca e ne ‘ ru fa’ rrechiute!
Freme pe’ ll’ aria ru suone…
Ferma ru vosche tutte le frunnelle,
le scenne ‘n ciele féermene ri cielle.

E. Spensieri in  " Prima antologia dei Poeti dialettali molisani " a cura di Emilio Ambrogio Paterno- Arte della Stampa Pescara.

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Di/spero
Sulla strada strozzata dalla palude
Le canne tagliano la gola alle parole.
E’terribile non avere la forza di gridare:
-disperooo-
solo perché la parola tagliata
non si addice al segreto
di un uomo che mentirebbe se dicesse:
- sperooo -
Imparerò a mimare la solitudine
Dinanzi allo specchio.
Avrò almeno l’illusione
Di essere con un altro me stesso,
il gabbiano in picchiata
con l’occhio fisso al banchetto di sardine
nella scia azzurrognola del mare.

da DI/SPERO (Parole al muro) di Nicola Iacobacci l’Airone – Campobasso

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Il lucchetto cifrato
L’ansia ha bisogno di pretesti,
il lucchetto cifrato,
le scarpine appese alla parete
con un nastrino rosa.

Potrei essere felice
Se avessi il pungiglione delle vespe
Per entrare nell’essenza delle cose
E dire: la speranza è verde perché risuscita.

Ho due occhi e un naso e una bocca
Come il più infleice degli uomini
Che si vanta di soffrire
E non sa che il suo dolore

È meno rosso del sangue dei papaveri
Sul muro del giardino
Dove gli uccelli saltano e cantano.
Cantano e saltano.

Dovrei conoscere il linguaggio degli uccelli
Per sapere se sono felici
E non fidarmi solo dell’istinto
Che annusa l’odore della nuvola
Tra i fiori del cespuglio.

da Il lucchetto cifrato di Nicola Iacobacci –Editrice l’Airone Campobasso

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U dialette termelese

"Hi'so'nate a Termole 'nda nu viche
n 'è fatte 'i scole grosse n 'è studiäte;
però so'stäte une ch'a 'pprezzäte
'u parlä'ca usavene l'andiche.

Quande me trove Geneve e a Miläne
e lunghe 'a sträde sende... pe' San Basse!
M'arevòte de bbotte allong'u passe...
'u rrive, 'u väsce e pu jè stregne 'a mäne.

Pe' forze une adà parlä 'taliäne?
Velite de 'stu fatte fä nu dramme?
M'avìta dice che ce stä de sträne.

Sendenne 'lla parläte hi'me 'nfiamme,
me ci 'arescalle 'u core, m'aresäne:
perciò parle come m 'a fatte mamme. "

Tratto da “Letteratura dialettale molisana” di Mario Gramegna. Ed. Cultura & Sport - Campobasso


 

'A strecuelatore

'Ando sta 'llu sapone marmurate,
l'acqua 'nda tine e 'a stracuelatore,
'a cenere vellite p'a cuelate
e i panne ne scagnevene chelore.

Mo, dicene, madonne che splendore!
Avaste ca ce mitte “Ava bucate",
fa tutte cose hisse, dind'a 'n 'ore
e i fazzelitte aèscene stracciate.

P'a femmene de mo'e 'na fertuna:
durante 'u jume dorme a sette sunne
senza sapé si panne venne bbune.

A me sa ca sime iute a funne:
hime pelite majje e cavezune
pero avime 'mbezzenite 'u munne."

Tratto da “Letteratura dialettale molisana” di Mario Gramegna. Ed. Cultura & Sport - Campobasso

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